M.D. numero 25, 14 settembre 2005

Diario ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia - Cronaca di una settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia Docente Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine

Lunedì
"Adesso, visto che abbiamo controllato gli esami del sangue, vorrei che affrontassimo un nuovo argomento; è un problema per me molto importante e, considerato che oggi non c’è gente in sala d’attesa, le sarei grato se mi dedicasse un po’ del suo tempo”. Quando Antonio si è rivolto a me in questo modo, scandendo bene le parole e con una mimica facciale che sottolineava l’importanza della questione, ho pensato a qualche problema legato alla sfera affettiva o sessuale. È un uomo di sessantacinque anni, fisico asciutto, molto attivo e di carattere assolutamente intraprendente. Ma la mia impressione era sbagliata, non veniva per se stesso.
“Sono venuto a parlarle, anche a nome di mia moglie, che sta soffrendo con me, per la situazione di nostra figlia. Lei conosce bene Livia, conosce il suo stile di vita e la sua situazione; noi non riusciamo a darci pace vedendo una ragazza di trentacinque anni, obesa, sempre stanca e sempre attaccata al frigo. Torna alla sera, distrutta dal lavoro, si mette sul divano, guarda la televisione e mangia. Non esce, non fa alcuna attività fisica, non ha amici”.
In realtà, noi non vediamo la ragazza da più di un anno; ricordo che eravamo riusciti a farla dimagrire e a farle affrontare la vita con più ottimismo. Il padre è molto preoccupato e si vede che soffre; si rende conto che per Livia cambiare lavoro è davvero difficile e sottolinea come questo sia ancora più difficile per un obeso e, in ogni caso, per qualcuno non di bella presenza. È venuto in studio per chiedere aiuto per la figlia e per essere certo che, in qualche modo, ce ne facessimo carico. “Sappiamo, dottore, che verrà in ambulatorio per chiederle una consulenza dermatologica; la prego, cerchi di prendere in mano la situazione; la ragazza è veramente infelice”.
Ci rendiamo conto che siamo un punto di riferimento e ci rendiamo conto, ancora una volta, come la continuità assistenziale da parte delle stesse figure professionali sia fondamentale. Il padre sa che la figlia verrà da noi e sa che il rapporto di fiducia rafforzato nel corso degli anni è la garanzia del nostro impegno. Ecco perché la nostra disciplina si chiama medicina di famiglia. Che responsabilità abbiamo... Talvolta non ne abbiamo coscienza.

Martedì

Sappiamo bene tutti come la televisione sia il mezzo di informazione, di formazione e condizionamento più potente che sia mai esistito. È veramente il media di massa per eccellenza; ciò che compare in televisione è percepito come realtà e verità. Essa condiziona il pensiero di una grande parte della popolazione, guida i consumi, orienta l’elettorato e forgia ideologie. È naturale che interessi anche il campo della salute. La nostra esperienza è che si tratti, quasi sempre, di una cattiva maestra (rubiamo le parole a Popper), una maestra che non dà il giusto valore ai temi che tratta. La gente non si rende conto, ovviamente, che buona parte delle trasmissioni promuovono specialità, farmaci, nuove abitudini che sempre devono essere personalizzate e mai si possono generalizzare. Antonia ha sessantasei anni, è in cura nel nostro ambulatorio da venti; i suoi disturbi, vecchi e nuovi, sono stati studiati, monitorati e trattati. Conosciamo le sue ansie, la sua vita coniugale e i suoi rapporti con il figlio. Soffre con certezza (se esiste certezza in medicina) di polimialgia reumatica.
Oggi è venuta a chiederci una visita reumatologica perché ieri sera alla TV c’era un professore che consigliava di rivolgersi allo specialista nel caso si abbiano dolori come i suoi. Non si può negare la richiesta di un secondo parere, soprattutto se viene chiesto con una certa insistenza. Ma Antonia non sa che per lei comincerà un periodo di accertamenti, controlli e tentativi terapeutici che non potranno che ritornare al punto da dove siamo partiti. Si creeranno nuove ansie, nuovi disagi e nuove spese solo perché quel professore, in televisione, si è dimenticato di ricordare che la necessità di una consulenza di secondo livello dovrebbe essere ravvisata dal medico di famiglia, che conosce la persona nella sua interezza, conosce la sua storia e l’ambiente in cui vive.

Mercoledì

Oggi un informatore medico scientifico ci ha presentato la duloxetina in capsule da quaranta milligrammi, da somministrare due volte al dì in caso di incontinenza urinaria da sforzo. Si tratta di un inibitore combinato della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina. L’azione si esplica con una chiusura uretrale più forte, per questo motivo la frequenza degli episodi di incontinenza, nei soggetti trattati, viene riferita ridotta del 50%, mentre nei soggetti che hanno assunto solo placebo essa si ridurrebbe del 33%. Il trattamento dell’incontinenza da sforzo classicamente è chirurgico (colposospensione) o si basa sul rafforzamento della muscolatura del pavimento pelvico attraverso esercizi mirati. Da quello che leggiamo in scheda tecnica, il farmaco in questione presenta frequenti effetti indesiderati, può dare disturbi da sospensione, non deve essere assunto in associazione con diverse altre sostanze o farmaci. La duloxetina è distribuita, con altro nome commerciale, per il trattamento dei disturbi depressivi maggiori. Ci siamo chiesti quanto questo prodotto possa influire sulla percezione della realtà, sulla coscienza e sul comportamento di chi lo assume e se non sia eccessivo utilizzare un farmaco di questo tipo per delle perdite di urina sotto sforzo.

Giovedì

Daniela ha quaranta anni, non è mai venuta in ambulatorio per problemi particolari; anche oggi è qui per una banale laringite. “Perché tieni sempre le braccia conserte quando mi parli?”, “Perché altrimenti tremo.” “Come sarebbe che tremi?”.
“Sono più di quindici anni che ho tremori involontari alle mani e alle braccia; non mi sembrava importante per questo, non lo ho mai segnalato. Siamo nove fratelli, due maschi e due femmine soffrono di tremori.”
Quando aveva diciotto anni, Daniela era stata ricoverata per effetti tossici da collanti. Lavorava nel settore calzaturiero, soffriva di vertigini, cefalea e di neuropatia agli arti. Non mi aveva mai detto neanche questo, perché per lei era un problema risolto. Ha il segno della troclea positivo. È un tremore familiare? Si tratta di un tremore parkinsoniano? È un tremore cerebellare? Vi è correlazione con l’uso di mastice?
Oggi dovrò studiarmi il caso, non si tratta di cose molto frequenti e le mie nozioni vanno rinfrescate. È una cosa che mi piace. La curiosità e la sfida, la voglia di conoscere e risolvere, il gusto di studiare e ricercare sono gli ingredienti di un sentimento particolare; è una sensazione di realizzazione e benessere; credo sia questo sentire che ci ha fatto scegliere e ci fa continuare questa professione.

Venerdì

È ritornata Teresa. Era venuta da noi la settimana scorsa per un dolore all’addome inferiore; l’addome era trattabile, ma il dolore si accentuava con una leggera pressione in zona annessiale sinistra.
Per via vaginale, con un lieve schiacciamento della parete addominale, era chiaramente palpabile una “massa” in sede pelvica. Il reperto era talmente evidente e tipico che non ho perso l’occasione di farlo constatare anche ad Alessandra.
Teresa è una bella ventenne che conosciamo dall’età pediatrica; per lei siamo un punto di riferimento per qualsiasi problema, sentiamo che ci vuole bene. Ho prescritto un’ecografia da eseguirsi con sollecitudine, ma Teresa non è riuscita a trovare nessuno che facesse l’esame in tempi brevi e si è recata al Pronto Soccorso. I colleghi del pronto soccorso hanno inviato la paziente in consulenza ginecologica. “Perché è venuta in ospedale?”, “Perché il mio medico ha palpato una sospetta cisti all’ovaio sinistro e mi ha consigliato degli accertamenti.” “Non è possibile che un medico di base senta una cisti ovarica!”
Eseguita l’ecografia la paziente è stata operata d’urgenza per cisti ovarica torta, oggi è qui per la medicazione. Teresa ci ha riferito l’episodio, era orgogliosa di avere un medico di famiglia di cui fidarsi.
Noi, pure orgogliosi, eravamo un po’ tristi; l’episodio evidenzia, ancora una volta, la considerazione in cui siamo tenuti da parte di chi non conosce la nostra professione.

Sabato

Iva ha settantadue anni, è vedova e vive da sola. È sempre stata bene, non soffre di particolari malattie. Tre anni fa il figlio, che viveva con lei, si è sposato ed è andato a vivere in un’altra città. La grande casa è rimasta vuota e il figlio ne ha affittato il secondo piano a una giovane coppia. Iva ha perso il controllo di quella che è sempre stata la sua dimora, non può usare il suo giardino, ha perso il suo orto e i suoi ritmi sono scanditi ormai dai ritmi della coppia che vive sopra di lei. Questi tornano tardi di notte, ascoltano musica a tutto volume e ricevono gente quasi tutte le sere. Iva ha cambiato umore, ha perso il figlio, la casa e la sua indipendenza.
Oggi è venuta da noi con la prescrizione di uno psichiatra: antidepressivi maggiori, ansiolitici e ipnotici. Il figlio l’ha accompagnata dallo specialista per risolvere il problema, ma non si risolvono i problemi dell’esistenza con gli psicofarmaci. Proveremo a parlarne tutti assieme e cercheremo di trovare il modo per ridare a Iva un ruolo e la voglia di vivere.