M.D. numero 25, 14 settembre 2005

Appunti
Tra privacy e altre novità aumenta la burocrazia

L'applicazione delle norme sul rispetto della privacy servono indubbiamente a tutelare i diritti delle persone. L’impressione, però, è che nell’ambito della sanità tali norme stiano appesantendo di ulteriore burocrazia il lavoro del Mmg. Inoltre, non sono di facile comprensione e applicazione.
Lo confesso, la legge sulla privacy mi è stata sempre un po’ ostica. Non che non ne condivida la necessità. Anzi, ritengo che il suo avvento abbia rappresentato un avanzamento in merito alle modalità di trattamento delle persone nel Ssn. Si pensi, per esempio, a quando il paziente in attesa per fare un prelievo ematico è chiamato non solo per nome e cognome da una ausiliaria urlante, che non di rado ad alta voce pronuncia anche la patologia per cui l’assistito è lì. Così, davanti a tutti. Oggi le cose stanno cambiando. Nel setting della medicina di famiglia, però, le cose andavano diversamente già da tempo. Per esempio, il costume di fare entrare due-tre assistiti per volta in studio è ormai cosa d’altri tempi.
Anche se qualche Mmg resiste e incontrando qualche collega non perde l’abitudine di raccontare quanto accaduto ai suoi pazienti. “Tanto tra medici le questioni di privacy non contano”. È spesso questa la frase con cui si giustificano. Ma anche su questo malcostume il tempo e le vessazioni sanzionatorie, di cui talvolta è conseguenza la leggerezza con cui ci si approccia a certe tematiche, hanno prodotto il loro effetto. Ora, però, l’impressione è che il rispetto della privacy si stia trasformando in qualcosa di pesantemente burocratico per il medico di famiglia che proprio di altre “carte” farebbe volentieri a meno.
Quando la legge sulla privacy entrò in vigore, fui subito ligio a far firmare ai miei assistiti i moduli per il trattamento dei loro dati personali. Ma poi, col tempo, questo mio zelo si è assopito a tal punto che di tanto in tanto mi ricordo degli adempimenti che dovrei mettere in atto, mi collego alla rete per aggiornarmi sui comunicati del “garante”. In una di queste mie “incursioni” sul web, mi incuriosì molto l’obiezione sollevata dal segretario nazionale della Fimmg, Mario Falconi, sul fatto che dovevamo chiamare i nostri pazienti non con il loro nome e cognome, ma con un numero! Proprio noi, i medici di famiglia! E inoltre non dovevamo più apporre nome e cognome e l’indirizzo dell’assistito sulle ricette rosse o bianche. Ricette anonime! Ci pensate: medicinali prescritti al signor Nessuno? Forse però questa evenienza avrebbe potuto salvaguardarci dagli accertamenti perpetrati dalla Guardia di Finanza. Ma la norma non è passata.
Alla delusione per l’applicazione pratica delle norme sulla privacy si è aggiunta quella per la nuova ricetta, che è obbligatoria in alcune Regioni e facoltativa in altre. Al riguardo confesso che non sapevo cosa fosse una pecetta prima di vederla tra le mie mani. È quella striscia adesiva da consegnare al paziente che ce la richiede affinché la applichi sul suo nome e cognome trascritto sulla ricetta in modo che farmacista, e impiegati della farmacia, non sappiano che egli utilizza quei determinati farmaci. A meno che non sollevino la pecetta. In due mesi di utilizzo del nuovo ricettario, nessuno dei miei assistiti l’ha chiesta. Mi piacerebbe però sapere su quante ricette a livello nazionale sono state messe. Viviamo in una realtà in cui sorprendersi non è più di moda.
Non mi sorprenderei affatto se qualche Asl, per fare cassa, si facesse sponsorizzare le pecette, magari da qualche casa farmaceutica. Insomma, privacy con sponsor.

Filippo Mele

Medico di medicina generale
Policoro (MT)



Quota capitaria: cosa ci tocca fare nel tuo nome


"Dottore, ha sbagliato a prescrivermi l’impegnativa”.
“Ma se l’ho copiata pari pari dalla richiesta dello specialista”.
“Allora ha sbagliato anche lo specialista”.
“E lei continua a pagare le tasse per avere un servizio sanitario così sgangherato”.
Il paziente non raccoglie e mi butta sotto il naso l’impegnativa: “Si richiede risonanza magnetica per sospetta ernia discale L5-S1”. In effetti non è che fossi molto convinto di trascrivere quella richiesta ma, con quel che costa la vita oggi, non posso permettermi di scontentare un paziente e perdere di conseguenza le preziose quote capitarie sue e della sua famiglia. A parte ciò, mi chiedo, ma l’errore dov’è? Il paziente percepisce il mio smarrimento e mi viene incontro trionfante.
“L’impiegata del Centro Diagnostico Specialistico Sante Restituta e Clementina dice che così non va bene. Bisogna specificare dove deve essere fatta la risonanza”.
Lo guardo stupito: “Mah, dove vuole lei. Può farla al Centro Diagnostico Specialistico Sante Restituta e Clementina, può farla all’ospedale...”.
“No, no,” mi interrompe il paziente.
“La signorina dell’accettazione vuole sapere in che punto del corpo”.
“Perché? Non c’è scritto?”
“No. Lei ha scritto solo ‘risonanza magnetica’, e bisogna scrivere ‘risonanza magnetica dell’addome, del torace, della colonna, del cranio’, o di quello che intende lei”.
“Se ho scritto ‘per sospetta ernia discale L5-S1’, evidentemente dovranno farle la risonanza dove si vede l’eventuale ernia discale L5-S1. Non vorranno mica fargliela all’alluce sinistro, spero. Dove si trova L5-S1 dovrebbero saperlo anche loro...”.
“Sì, ma la signorina mi ha detto che lei deve scrivere proprio ‘risonanza magnetica della colonna lombo-sacrale’, altrimenti il Servizio sanitario nazionale non rimborsa la prestazione al Centro Diagnostico”.
“E a me che mi…”. Mi trattengo in tempo. Santa Quota Capitaria, altro che Sante Restituta e Clementina! Non posso essere scortese, anche perché quel Centro Diagnostico è l’unico in zona dove fanno la risonanza magnetica senza mettere il paziente nel ‘tubo’ e il mio paziente, che tiene famiglia e quindi diverse quote capitarie, ha già fatto un’altra volta una risonanza in ospedale, e il ‘tubo’ proprio non gli è piaciuto. Dice che stare lì dentro gli procura troppa ansia. Io sarei in ansia al solo pensiero di quel che costa la risonanza, e non mi aiuterebbe molto nemmeno il pensiero che una bella fetta la paga il Ssn: ma lo so, io sono un inguaribile avaro. Il mio paziente invece è un signore, superiore alle volgari questioni economiche. Anzi, più che un signore è un principe o, meglio ancora, una principessa. Non posso dirgli: “Vada in ospedale, che non le fanno tutte queste storie”. Se gli rendo la vita difficile, le sue quote capitarie posso scordarmele. Cerchiamo dunque di risolvere il problema da taccagni che non sanno rinunciare al fascino discreto delle quote capitarie... “Ha ragione! Che sciocco sono stato. Sa, capita di dimenticarsi, ma adesso rimediamo subito. Ecco, questa è l’impegnativa nuova. Legga, legga pure, controlli, non si sa mai. Ci dovrebbe essere scritto ‘risonanza magnetica della colonna lombo-sacrale’. E mi scusi, mi scusi tanto...”

Antonio Attanasio

Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)

Repliche
La Medicina di Famiglia è disciplina specialistica accademica
Dopo aver letto l’editoriale di Giuseppe Maso (M.D. 2005; 23: 3) mi chiedo dove sia la materia del contendere rispetto a quanto da me scritto in un precedente editoriale a mia firma (M.D. 2005; 19: 3). In realtà il secondo editoriale è una ripetizione in altro modo degli stessi concetti di base.
Nel secondo si fa riferimento a specificità da Definizione Europea, quando nel primo editoriale ben metà dello spazio è proprio dedicato a quelle enunciazioni e specificità, avendo anche contribuito per anni in prima persona alla loro stesura in sede internazionale. Nel secondo si dice che la Medicina di famiglia non è Medicina interna. E certo che non lo è! Infatti nel primo editoriale si parla di pure affinità, rispetto ad altre specialità, e che alcuni internisti hanno un buon occhio per la Medicina di famiglia e potrebbero essere sinergici per farla diventare accademica.
Nel secondo si parla di internisti che “ insegnano” a medici di famiglia cosa che in quello precedente non si auspica affatto. Non è certo il caso di fare unilaterali polemiche a corto circuito nella Medicina di Famiglia, vista anche le difficoltà che già esistono al di fuori di essa per accettarla come disciplina autonoma e accademica, cosa che sia io che Giuseppe Maso nei due editoriali auspichiamo e quindi ripeterlo non mi dispiace.
Francesco Carelli
EURACT Council