M.D. numero 24, 29 giugno 2005

Tribuna
Perché sono orgogliosa di essere medico di famiglia
di Franca Piattoni Medico di medicina generale, Milano

Ho letto l’articolo del dottore Claudio Appetito (M.D. 2005; 21: 12-13) e indignata e offesa in quanto Mmg, mi sono sentita tenuta a rispondere. Che la figura, il ruolo e l’essenza del medico di famiglia siano in serio pericolo è un fatto inconfutabile. Siamo chiamati non solo a mettere in atto la nostra professione, ovvero a prevenire e a curare, ma anche a calmierare la spesa sanitaria tramite meccanismi, spesso poco chiari ed eticamente discutibili. Dobbiamo inoltre svolgere funzioni di sorveglianza epidemiologica mediante protocolli decisi da persone che, secondo me, di medicina si intendono poco. Lavoriamo molto per quanto concerne lo svolgimento di compiti burocratici e forse meno per quelli squisitamente professionali. Ma malgrado ciò non mi sento un impiegato del catasto come afferma il collega..

Come la maggioranza dei colleghi medici di famiglia mi sento vessata e stressata dalla burocrazia delle Asl e dalle richieste dei pazienti: ogni momento che spendo per compilare prescrizioni che non mi competerebbero, per ripetere una ricetta affinché il paziente possa chiedere il rimborso assicurativo, per richiedere esenzioni, per cercare di ottemperare alle infinte note e piani diagnostici e terapeutici, sono momenti (anzi ore) tolte alla effettiva cura del paziente. Tuttavia, devo contraddire quanto affermato dal collega Appetito perché non mi sento di assomigliare a un impiegato del catasto. Con i miei 1.500 pazienti mantengo un rapporto (o almeno cerco di mantenerlo) davvero di medico di famiglia. E loro, miei assistiti, mi contraccambiano. È vero, mi capita di trascrivere esami o farmaci prescritti da altri medici. Lo faccio se condivido il sospetto diagnostico, se sono d’accordo, se mi sembra legittimo. Tra l’altro, normalmente, i miei pazienti vengono indirizzati a colleghi da me noti e apprezzati. Mi rifiuto di trascrivere esami poco congrui e chiedo sempre di vedere il paziente per confermarli, secondo scienza e coscienza.
Il collega forse non sa che i medici ospedalieri o specialisti ambulatoriali sarebbero tenuti a prescrivere esami suppletivi da loro ritenuti necessari sul famigerato ricettario “del Ssn”, in loro possesso. Non lo fanno quasi mai, per pigrizia? Voglia di non esporsi? Bisogno di non gravare economicamente sulla propria struttura? Non saprei.
In Lombardia, Regione in cui esercito l’attività di medico di famiglia, inoltre, abbiamo un gran numero di strutture accreditate: per ricevere denari, ma non per farli spendere (o, meglio, per non figurare quali spenditori). Non voglio tediare il collega con le perplessità e le indignazioni che ogni Mmg vive quotidianamente, ma devo dirgli che, oltre a essere forzatamente burocrati, siamo e restiamo sempre e soprattutto medici.  

Una scelta voluta


La medicina di famiglia è una specialità, tanto che attualmente esiste una formazione specifica per diventare Mmg. Non ci si diventa casualmente o perché non si è riusciti ad entrare in ospedale e non è una seconda scelta o una scelta di comodo. Lo si diventa perché si vuole fare una medicina della famiglia, perché si accetta consapevolmente (pur volendo modificare tante cose) di gestire non solo la patologia degli individui, ma anche la fisiologia della famiglia.
Il collega Appetito ammette di aver fatto un’esperienza limitata, negli anni ‘80-‘90, a Roma con soli 800 pazienti, definendosi “amanuense della mutua”, più vicino al salumiere che al medico e di svolgere oggi felicemente un lavoro di medico e chirurgo a 360 gradi in Africa. È stato un suo problema, non è stato in grado di essere un bravo medico di famiglia e sono contenta che ora si senta realizzato in un lavoro encomiabile.
Orbene, che facciamo? Andiamo tutti nel Terzo mondo? Qualcuno deve restare a curare anche gli italiani.
Non capisco per quale motivo mi debba trovare nella dubbia situazione di giustificare un lavoro che faccio con passione e impegno, che mi coinvolge e che coinvolge con me i miei pazienti.
Potrei dire al collega che opero per “Medici del Mondo” qui in Italia per gli extra-comunitari? Va bene glielo dico, ma non me ne faccio scudo. Faccio volontariato per scelta e non perché mi senta in qualsiasi modo in colpa.
Caro Appetito in fondo invidio la tua esperienza ma, credimi, i medici (anche se “solo della mutua”) servono anche in Patria. Non tutti hanno il tuo coraggio o, forse, hanno il coraggio di restare.
Pur essendo indignata e offesa ti faccio tanti auguri per il tuo lavoro che immagino difficile, impegnativo e, soprattutto, indispensabile.