M.D. numero 22, 15 giugno 2005

Terapia
Prevenzione cardiovascolare con statine: dimostrazioni di efficacia
di Enzo Manzato - Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche - Università di Padova

L’entità dei benefici che derivano da una terapia ipolipemizzante si correla non tanto al rischio coronarico quanto al rischio globale, e si estende a un’ampia tipologia di pazienti finora piuttosto trascurati dal trattamento.

Le indicazioni contenute nell’ultimo Report del National Cholesterol Education Program Expert Panel (NCEP-ATP III) sottolineano che in ogni persona di più di 20 anni di età è utile procedere a una valutazione del rischio vascolare, includendo in essa un dosaggio dei principali lipidi plasmatici. Il livello di colesterolo totale desiderabile in un soggetto adulto è inferiore a 200 mg/dL, e in presenza di valori di colesterolemia totale superiori a 200 mg/dL è opportuno valutare la concentrazione del colesterolo nelle principali classi di lipoproteine (VLDL, LDL e HDL). Ai fini della prevenzione delle malattie cardiovascolari il livello desiderabile della frazione di colesterolo LDL è inferiore a 130 mg/dL, che però, in presenza di vasculopatia, viene significativamente ridotto, con una soglia di colesterolo LDL desiderabile inferiore a 100 mg/dL.
Le modificazioni della dieta possono correggere dislipidemie con una forte componente alimentare; è comunque opportuno precisare che, anche se non si raggiungono gli obiettivi terapeutici, una dieta appropriata risulta comunque utile, in quanto permette la correzione di diversi fattori di rischio cardiovascolari, o quanto meno una riduzione del loro impatto negativo.
Nelle forme di ipercolesterolemie familiari spesso i risultati della sola dieta sono insufficienti e, perché l’approccio terapeutico sia efficace, si ricorre alle statine. Questi farmaci vengono impiegati anche nella iperlipidemia combinata, forma di dislipidemia che può giovarsi anche della somministrazione di fibrati. Nelle ipertrigliceridemie la dieta permette spesso di ottenere ottimi risultati, ma se tale forma di intervento da sola non consentisse il raggiungimento dell’obiettivo desiderato, un intervento efficace prevede la somministrazione di fibrati o degli acidi grassi n-3.

Gli obiettivi realizzati dai trial


Alla riduzione del colesterolo si accompagna, come è stato ben documentato da diversi studi clinici controllati, una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari. Riduzione che, con l’avvento delle statine, ha acquistato uno spessore e una consistenza ancora più evidenti. Uno dei primi studi che ha contribuito a mettere in luce il potenziale terapeutico di questa classe di farmaci è stato lo studio 4S, nel quale si è resa evidente una significativa riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, con una differenza di circa dieci punti percentuali a favore dei pazienti in trattamento con statina rispetto ai pazienti di controllo.
L’evidenza dei consistenti benefici che una terapia ipocolestesterolemizzante è in grado di apportare è funzione dell’efficacia intrinseca della terapia ma anche del livello di rischio che contraddistingue al basale i pazienti arruolati. Nello studio 4S si trattava di pazienti con un livello di rischio elevato in quanto erano rilevabili segni di aterosclerosi coronarica. Se si osservano i risultati dei più importanti trial di prevenzione cardiovascolare condotti con statine, si rileva immediatamente quanto siano differenti le “pendenze” delle curve degli eventi (figura 1), con una ripidità minore nei trial di prevenzione primaria rispetto a quelli di prevenzione secondaria, cioè trial che arruolano pazienti con un elevato livello di rischio perché hanno già presentato un evento, perché manifestano segni clinici di interessamento aterosclerotico di uno o più distretti o ancora perché si tratta di soggetti caratterizzati da cluster di più fattori di rischio.
Uno studio successivo al trial 4S ha ampiamente dimostrato che l’entità dei benefici che si possono ricavare dalla riduzione del colesterolo LDL con una statina sono ben correlati con il livello globale di rischio per malattia coronarica del paziente.
Lo studio HPS (Heart Protection Study) è stato programmato per verificare se una terapia ipocolesterolemizzante potesse essere utile per ridurre gli eventi vascolari in pazienti ad alto rischio, ma indipendentemente dai valori di colesterolo plasmatici (Lancet 2002; 360; 7-22). Sono stati considerati includibili nello studio HPS tutti quei soggetti con colesterolo totale superiore a 135 mg/dL e alto rischio di mortalità coronarica sulla base di un’anamnesi positiva per infarto miocardico o altra patologia coronarica, arteriopatia ostruttiva di altre arterie (non coronariche), diabete mellito o ipertensione.
La mortalità totale è stata pari al 12.9% nel gruppo assegnato a trattamento con simvastatina e al 14.7% in quello assegnato a placebo. La simvastatina ha mostrato di influenzare la mortalità legata a cause vascolari, con una significativa riduzione della mortalità coronarica (5.7 vs 6.9%) e un marginale abbassamento dei decessi per altre cause vascolari (1.9% vs 2.2%), pari a una riduzione relativa del rischio del 17% (p<0.0001) e a una riduzione assoluta dell’1.5%.
La terapia con simvastatina ha permesso di prevenire gli eventi vascolari cerebrali, con una riduzione statisticamente significativa del rischio relativo del 25% (p<0.0001), corrispondente a una riduzione del rischio assoluto dell’1.4% (4.3% vs 5.7%) (figura 2). La minore incidenza degli eventi è stata determinata soprattutto da una consistente riduzione degli eventi ischemici (2.8% vs 4%, p<0.0001).
I risultati dello studio HPS dimostrano che la terapia ipocolesterolemizzante comporta una significativa riduzione degli eventi vascolari, anche in soggetti con bassi valori di LDL, ma con alto rischio vascolare.

Benefici estesi a tutte le classi di pazienti


Lo studio HPS ha contribuito anche a dissipare alcune delle incertezze relative ai possibili benefici della terapia in alcune categorie di pazienti, nelle quali spesso la prescrizione di una statina ha una limitata diffusione. I pazienti reclutati nell’HPS erano rappresentativi di differenti categorie diagnostiche (inclusi i pazienti con arteriopatia ostruttiva a carico di arterie non coronariche, con diabete mellito o ipertensione) e in altri importanti sottogruppi (compresi i pazienti di sesso femminile, gli anziani o i pazienti con bassa colesterolemia). L’ampia casistica di pazienti arruolati per le numerose categorie di rischio prese in considerazione da questo studio ha fatto sì che queste conclusioni possano venire generalizzate e applicate alla intera popolazione di pazienti.
Lo studio HPS ha dato una svolta significativa all’approccio della malattia cardiovascolare sottolineando due aspetti importanti. Il primo è che sembra non esistere una soglia precisa al di sopra o al di sotto della quale il trattamento è utile o perde la sua convenienza. Ridurre il colesterolo LDL di 38.6 mg/dL comporta una riduzione di circa un quarto del rischio di eventi vascolari maggiori, sia che si parta da un livello iniziale di C-LDL più alto (da 154 mg/dL a 116 mg/dL) o più basso (da 116 mg/dL a 77 mg/dL).
Lo studio HPS ha inoltre dimostrato inequivocabilmente che un trattamento con una statina previene non solo gli eventi e le rivascolarizzazioni coronariche, ma ha un suo ruolo importante nel ridurre gli ictus ischemici e le rivascolarizzazioni periferiche. In base a ciò sarebbe quindi opportuno mettere in discussione il concetto del momento più adatto per iniziare una terapia, e decidere valutando non tanto il rischio di un evento coronarico, quanto piuttosto quello di un evento maggiore. Infatti nei pazienti ad alto rischio è stato dimostrato che i benefici prodotti dalla statina non sono influenzati dal livello di partenza dei lipidi.