M.D. numero 23, 22 giugno 2005

Rassegna
Grandi trial e antagonismo del sistema renina-angiotensina-aldosterone - Quando un risultato si trasforma in unšindicazione al trattamento?
di Claudio Borghi - Dipartimento di Medicina Clinica e Biotecnologia Applicata “D. Campanacci”, Università di Bologna

Se condotti nel rispetto di specifiche condizioni, i trial clinici rappresentano lo strumento indispensabile per generare indicazioni terapeutiche. Lo studio LIFE rappresenta uno degli esempi più sostanziali di come una corretta conduzione possa generare sia dimostrazioni di efficacia sia indicazioni da applicare nella pratica clinica.

Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nei Paesi industrializzati, compresa l’Italia, nella quale il numero di decessi annui conseguenti a infarto miocardico o ictus risulta significativamente superiore qualora confrontato con quello di malattia cui viene attribuito un impatto sociale disastroso, quali le patologie neoplastiche.
Tale ruolo deleterio delle malattie cardiovascolari consegue all’intervento di una serie di fattori di rischio che, agendo in maniera isolata o più spesso combinata, sono responsabili dello sviluppo della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze.
Nell’ambito del panorama sempre più complesso del rischio cardiovascolare, uno degli aspetti che ha ricevuto maggiore attenzione negli ultimi anni è stata certamente l’osservazione della natura multideterminata del rischio stesso, la cui espressione clinica rappresenta la risultante grossolana dell’intervento dei numerosi meccanismi che, con valenza diversa, sono tuttavia in grado di promuovere lo sviluppo e la progressione della patologia cardiovascolare.
In questa logica di rischio cardiovascolare ad ampio spettro il sistema renina-angiotestina-aldosterone (RAS) svolge un ruolo essenziale in quanto in grado di svolgere un ruolo di promotore e amplificatore dell’intervento dei fattori di rischio tradizionali, risultando coinvolto nello sviluppo e progressione della malattia aterosclerotica in maniera largamente indipendente dal fattore di rischio prevalente (figura 1).
Questo spiega perché tra le strategie di prevenzione cardiovascolare un ruolo di primo piano sia quello che consegue all’impiego di farmaci in grado di modulare l’attività del sistema RAS, il cui uso nella pratica clinica si è dimostrato efficace in un’ampia popolazione di pazienti, che coinvolge prevalentemente la popolazione ipertesa e i pazienti con cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco e diabete complicato o meno da compromissione renale1.
In questa ottica i grandi trial condotti con farmaci che inibiscono il RAS hanno giocato un ruolo fondamentale, producendo evidenze e contribuendo a generare le conseguenti indicazioni il cui peso specifico in ambito clinico dipende tuttavia dal valore specifico dei presupposti che rendono quel trial o quei trial adatto(i) a generare quella indicazione.
In primo luogo, uno studio in grado di generare indicazioni deve necessariamente possedere una serie di caratteristiche che sono riassunte nella tabella 1, tra le quali un ruolo essenziale è svolto dall’appropriatezza del razionale di intervento, l’aderenza della casistica e l’applicabilità dell’eventuale risultato alla popolazione reale, la rilevanza clinica delle evidenze e l’elevato rapporto beneficio/rischio della strategia di intervento proposta.
Solo nel caso in cui tutte queste condizioni siano opportunamente soddisfatte, si può presumere che la trasposizione della evidenza dello studio all’indicazione clinica possa essere una soluzione corretta e auspicabile.

Indicazioni dagli studi clinici


Tale logica si applica certamente a due dei principali studi clinici che hanno sancito il ruolo degli inibitori RAS nella prevenzione cardiovascolare.
Il primo è certamente lo studio HOPE2, nel quale il trattamento con ACE-inibitori applicato a una popolazione di pazienti a elevato rischio cardiovascolare e suscettibili di benefico clinico qualora sottoposti a tale strategia terapeutica ha migliorato significativamente la prognosi clinica coronarica e cerebrovascolare. Ciò ha sancito l’efficacia di un impiego ad ampio spettro di tale classe di farmaci nei pazienti con profilo di rischio cardiovascolare elevato.
La stessa logica di interpretazione può essere applicata allo studio LIFE3, che ha esteso il ruolo dei farmaci inibitori del RAS nel paziente a rischio cardiovascolare elevato, dimostrando come il trattamento con un AT1-bloccante in una popolazione di pazienti ipertesi anch’essi a rischio elevato per la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra e altri fattori di rischio risulti efficace anche in aggiunta al controllo pressorio, rafforzando il concetto del ruolo preventivo del blocco recettoriale RAS e supportando un’indicazione come scelta terapeutica prevalente nel paziente ad alto rischio cardiovascolare.
Seguendo questo tipo di logica e di approccio al problema è altrettanto ovvio, però, che non tutti i trial possono essere considerati adeguati a generare indicazioni cliniche applicabili alla popolazione generale. Esistono infatti alcuni elementi che da soli non sono in grado di permettere la generalizzazione di un concetto terapeutico. Per esempio un’indicazione terapeutica specifica non può essere proposta in conseguenza della sola positività del risultato di un trial clinico senza un’analisi completa e corretta delle caratteristiche del risultato acquisito e delle modalità entro le quali è stato raggiunto.
Un esempio paradigmatico è certamente rappresentato dai risultati dello studio PROGRESS4, che ha suggerito come il trattamento a base di perindopril sia in grado di ridurre l’incidenza di recidiva di ictus, ipotizzando un’indicazione primaria per tale molecola in tutti i pazienti sopravvissuti a un accidente cerebrovascolare. Sfortunatamente tale suggerimento terapeutico non risulta sostenuto dall’analisi dei risultati dello studio che dimostra come il beneficio clinico in termini di prevenzione della recidiva ictale sia in verità il risultato della riduzione effettiva dei valori di pressione arteriosa che consegue all’impiego della combinazione di perindopril e diuretico (tabella 2), mentre l’efficacia terapeutica del perindopril appare trascurabile.
La discrepanza tra evidenza clinica e indicazione proposta appare così stridente che un recente editoriale pubblicato sul BMJ a cura dello sperimentatore principale dello studio PROGRESS, Stephen McMahon5, afferma che inseguire il concetto di un beneficio specifico di un farmaco (in questo caso il perindopril) in luogo di ridurre efficacemente la pressione con una combinazione di farmaci potrebbe compromettere il miglioramento della prognosi clinica di oltre 50 milioni di pazienti gravati da un profilo di rischio cardiovascolare elevato. Tutto ciò dimostra come la traslazione corretta delle evidenze alla pratica clinica sia comunque una materia complessa, che non può essere risolta dal solo esito positivo di uno studio se la sua interpretazione non è rigorosa.
Ancora più intuitiva è l’osservazione che non è possibile derivare indicazioni terapeutiche dalle evidenze originate da obiettivi secondari di uno studio in assenza di una verifica dell’obiettivo primario. In questo ambito l’esempio più clamoroso è certamente rappresentato dallo studio ALLHAT6, nel quale pur in presenza di un’assoluta sovrapponibilità tra i trattamenti in studio in termini di obiettivo primario del trial, si è proposta una fantomatica indicazione prevalente per la terapia diuretica che non corrisponde né all’obiettivo né alle reali evidenze emerse dallo studio.
Analogamente non può essere considerata come potenziale indicazione clinica quella derivata dall’evidenza di risultanze positive, ma emerse dalla analisi di un sottogruppo di pazienti quale quella che caratterizza lo studio SCOPE7, nel quale la sola evidenza di efficacia riguarda la prevenzione dello stroke non fatale in assenza di un effetto del trattamento nei confronti dell’obiettivo primario dello studio, rappresentato dalla incidenza di eventi cardiovascolari maggiori.

Insegnamenti dallo studio LIFE


Per contro uno degli aspetti più interessanti relativi alla disciplina degli studi clinici è la possibilità che, una volta verificato l’obiettivo primario, lo stesso studio possa generare nuove indicazioni cliniche derivate dall’analisi approfondita delle evidenze di beneficio emerse dallo studio.
Un tipico esempio di tale aspetto è rappresentato dallo studio LIFE3 per quanto concerne la riconosciuta efficacia del losartan nella prevenzione delle complicanze cerebrovascolari e dell’ictus. In particolare in questa situazione specifica la definizione dell’indicazione clinica risulta conseguente alla conferma di una serie di specifici elementi che rendono inequivocabile il trasferimento dall’evidenza alla pratica clinica (tabella 1).
In primo luogo il razionale di intervento che identifica l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone tra i fattori di rischio della patologia cerebrovascolare, la cui incidenza risulta più elevata nei soggetti che presentano più elevati valori di attività reninica plasmatica. Ciò significa che la somministrazione di un farmaco in grado di inibire tale sistema ha un’elevata probabilità di risultare un intervento di successo in termini di prevenzione cerebrovascolare, soprattutto quando confrontato con un’altra strategia terapeutica equivalente in termini di controllo pressorio, ma basata su un diverso meccanismo d’azione (per esempio betabloccante).
Un secondo aspetto essenziale è rappresentato dal fatto che sulla base del razionale di impiego, la prevenzione dell’ictus era stata inserita tra gli obiettivi pre-specificati dello studio LIFE e quindi risultava potenzialmente verificabile in base alle caratteristiche dell’intervento proposto con losartan. Ciò attribuisce solidità al risultato dello studio ed esclude il rischio di attribuire una qualsiasi valenza clinica a un risultato acquisito in maniera dal tutto casuale e imprevisto e che, come tale, potrebbe rivelarsi non corrispondente alla realtà bensì frutto del caso. Inoltre la natura prospettica del disegno sperimentale dello studio LIFE, che ha valutato l’efficacia del trattamento stimando l’incidenza di eventi a partire dalla somministrazione iniziale di losartan o atenololo, aggiunge ulteriore certezza al risultato, in quanto riproduce in maniera più fedele possibile le condizioni della realtà clinica nella quale il farmaco viene somministrato, sulla base di una presunzione di efficacia che può essere confermata solo dalla osservazione temporale.
L’efficacia del losartan nel ridurre l’incidenza di complicanze cerebrovascolari osservata nell’ambito dello studio LIFE risulta inoltre indipendente dall’effetto di fattori confondenti, i quali potrebbero inficiare l’interpretazione dei risultati.
In particolare l’aspetto più rilevante è rappresentato dall’assoluta indipendenza dell’intervento preventivo dall’entità del controllo pressorio, che è risultato assolutamente sovrapponibile nei pazienti trattati con losartan e atenololo a fronte di una differenza sostanziale nell’incidenza di ictus (figura 2).
Questo aspetto risulta estremamente rilevante in quanto lo studio LIFE rappresenta il solo nel quale l’acquisizione della evidenza clinica può essere ragionevolmente indipendente dall’effetto confondente dalla pressione arteriosa, che invece sembra essere l’elemento centrale del beneficio osservato nel corso di studi di prevenzione cerebrovascolare, quali PROGRESS e SCOPE e probabilmente HOPE.
Un ulteriore elemento rilevante è rappresentato dal fatto che la prevenzione cerebrovascolare osservata nell’ambito dello studio LIFE risulta in linea con l’effetto qualificante dell’effetto farmacologico primario previsto dallo studio e cioè la riduzione della massa ventricolare sinistra.
In particolare, poiché i dati epidemiologici dimostrano come un aumento della massa ventricolare sinistra si associ a un incremento del rischio relativo di complicanze cerebrovascolari, è intuitivo immaginare come la regressione dell’ipertrofia stessa possa in pratica tradursi in un’analoga riduzione della incidenza di ictus, che sarà tanto più evidente quanto maggiore è l’impatto dei farmaci in studio nei confronti di tale parametro.
Nello studio LIFE il trattamento con losartan si è associato a una maggiore riduzione della massa ventricolare rispetto a quanto osservato nei pazienti trattati con atenololo, e tale aspetto può ragionevolmente sostenere l’adeguatezza del risultato in termini di applicazione clinica alla popolazione ipertesa.
Inoltre l’intervento con losartan sembra essere ampiamente giustificabile anche in termini di ipotesi meccanicistiche aggiuntive, in quanto il farmaco risulta in grado di inibire i recettori AT1 per la angiotensina II e di stimolare i recettori AT2, e proprio questo duplice meccanismo di intervento a livello recettoriale sembra essere oggi alla base dell’efficacia dei sartani di prevenire lo sviluppo di complicanze cerebrovascolari, in ragione soprattutto dell’ipotizzata attività cerebroprotettiva della angiotensina II nei confronti dei recettori di tipo AT28.
In aggiunta alle evidenze puramente incentrate sull’acquisizione e interpretazione di obiettivi clinici, i favorevoli effetti del losartan nei confronti delle complicanze cerebrovascolari potrebbero essere apprezzabili anche in termini di vantaggi economici, in quanto la minore incidenza di ictus osservata nella popolazione di pazienti trattati con losartan può risultare sicuramente in grado di compensare il maggiore investimento di denaro che consegue al prezzo più elevato di tale farmaco rispetto all’atenololo. Quest’ultimo aspetto rappresenta certamente un elemento essenziale nell’ottica della transizione dalle evidenze cliniche alle indicazioni al trattamento, in accordo con la logica che vuole l’applicazione clinica di un risultato di uno studio tanto più rilevante quanto più riesce ad associare un vantaggio clinico con una convenienza economica in un’ottica di costo/efficacia.

Conclusioni


Nonostante sia indubitabile che i risultati degli studi clinici rappresentino lo strumento essenziale e indispensabile per generare indicazioni terapeutiche applicabili su larga scala alla popolazione, è altrettanto vero che il loro ruolo come generatori di suggerimenti terapeutici sia subordinato al rispetto di una serie di specifiche condizioni.
In particolare la plausibilità sulla base del razionale dello studio, la correttezza delle procedure di indagine e di analisi statistica e l’applicabilità alla popolazione generale in un ambito economicamente ragionevole rappresentano aspetti inderogabili della procedura di sviluppo di un’indicazione clinica.
Per contro, la conduzione di uno studio nel rispetto di tali condizioni può permettere di derivare dallo stesso un numero rilevante di indicazioni cliniche anche aggiuntive all’ipotesi che sottende all’obiettivo primario.
Lo studio LIFE rappresenta uno degli esempi più sostanziali di come una corretta strategia di intervento e di conduzione della ricerca possa generare dimostrazioni di efficacia sia in termini assoluti sia in confronto con altre strategie di intervento e conseguentemente generare indicazioni terapeutiche ad ampio spettro, nel rispetto della logica corretta di transizione dalle evidenze dei trial alla pratica clinica.



Bibliografia
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6. ALLHAT Collaborative Research Group. Major cardiovascular events in hypertensive patients randomized to doxazosin vs chlorthalidone: the antihypertensive and lipid-lowering treatment to prevent heart attack trial (ALLHAT). Jama 2000; 283: 1967-75.
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