M.D. numero 23, 22 giugno 2005

Clinica
La sindrome dell’ovaio policistico
di Lino Del Pupno - Dirigente UO Ginecologia e Ostetricia, Ospedale di Oderzo (TV)

Le sfaccettature fisiopatologiche di questa sindrome endocrino-metabolica, che interessa circa il 5-10% delle donne che afferiscono negli studi di medicina generale, sono innumerevoli. Per il Mmg è importante identificare precocemente le donne affette da policistosi e motivarle a raggiungere e mantenere uno stile di vita il più possibile corretto. Le terapie farmacologiche vanno associate solo se dieta e attività fisica non sono sufficienti.

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è una patologia endocrino-metabolica molto diffusa, in apparente incremento, che coinvolge circa il 5-10% delle assistite del medico di medicina generale, con effetti sulla salute differenti nelle varie età.
Si può presentare in forme diverse, anche se spesso il primo segno può essere l’iperandrogenismo, che è la causa della maggior parte dei casi di acne giovanile. Spesso si manifesta con l’anovulazione, essendo una delle cause fondamentali di oligomenorrea e altre irregolarità mestruali e rappresenta una delle più comuni cause di infertilità.
Insieme a fattori genetici, l’insulino-resistenza e l’iperinsulinemia compensatoria hanno un ruolo chiave nella sua patogenesi e lo stile di vita può contribuire a scatenarla, ad accentuarne le caratteristiche o a peggiorarne la prognosi.
Il 30-75% di queste donne sono obese, con distribuzione centrale dell’adipe e nel lungo termine la PCOS influenza il rischio delle più diffuse patologie: cardiovascolari, neoplastiche estrogeno dipendenti e del metabolismo glicidico.

La diagnosi


I sintomi delle policistosi sono vari ed eterogenei e possono modificarsi spontaneamente nel tempo. La diagnosi pertanto può essere tardiva e molti casi possono non essere inquadrati come PCOS, ma “etichettati” soltanto in base al segno clinico più evidente (acne, oligomenorrea, infertilità, sovrappeso, diabete, ecc). Trattare soltanto uno degli “epifenomeni” del complesso quadro di alterazione endocrino-metabolica lascia progredire gli altri sintomi e rende poco efficace la terapia sintomatica: si pensi per esempio alla ripresa dei cicli irregolari appena si sospende il contraccettivo orale.
Ai fini diagnostici servono almeno due dei segni indicati in tabella 1. Ai segni clinici viene data più importanza che ai dati laboratoristico-strumentali.
Valutazione clinica
• La valutazione dell’indice di massa corporea (BMI) e la misurazione della circonferenza addominale sono atti clinici irrinunciabili.
• La cute deve essere valutata interamente alla ricerca di segni di androgenizzazione e di Acanthosis nigricans.
Indagini di laboratorio
• Le analisi ormonali non permettono di escludere la PCOS: per esempio il rapporto LH/FSH potrebbe essere apparentemente normale con un singolo prelievo, considerata la secrezione pulsatile delle gonadotropine, e d’altra parte prescrivere dosaggi multipli è eccessivamente costoso.
• Le indagini che possono essere utili, se clinicamente indicate, sono: LH, FSH, estradiolo, testosterone libero, prolattina, 17-OH progesterone (17-OH P), cortisoluria delle 24 ore. Inoltre, possono risultare opportune per la diagnosi differenziale con menopausa precoce, iperprolattinemia, iperplasia surrenalica congenita a esordio tardivo, sindrome di Cushing, neoplasie surrenaliche androgeno-secernenti e acromegalia.
I valori di LH risultano elevati soprattutto nelle donne magre. FSH ed estradiolo escludono la presenza di un ipogonadismo ipogonadotropo o di menopausa precoce nell’amenorrea. Il testosterone serve a confermare l’iperandogenismo ed escludere, se i livelli sono medio-bassi, tumori androgeno-secernenti. La prolattina e il 17-OH P escludono un’iperprolattinemia o un deficit di 21-beta idrossilasi. Il cortisolo urinario permette di diagnosticare un’eventuale sindrome di Cushing.
L’uso di androgeni, acido valproico e ciclosporina può dare dei segni simili alla PCOS.
Indagini strumentali
La sola presenza o meno di ovaie micropolicistiche all’ecografia non è un criterio sicuro di diagnosi, né l’assenza permette di escludere la PCOS.
L’ecografia deve essere eseguita per via trans-vaginale e comprendere la valutazione del volume ovarico che è aumentato (>10mL) e della presenza di almeno 10 follicoli con diametro di 2-9 mm, valutati sia in scansione longitudinale sia trasversale. È sufficiente che una sola ovaia abbia questi caratteri, se valutata in fase follicolare e in assenza di utilizzo di contraccettivi ormonali. La distribuzione periferica dei follicoli e l'ipertrofia dello stroma ovarico possono essere presenti, ma non sono necessari per la diagnosi, in quanto la misura del volume ovarico si è dimostrata sufficiente nella pratica clinica.
È invece inattendibile una valutazione ecografica per via soltanto transaddominale, magari in donna in sovrappeso.

Motivare le pazienti a cambiare lo stile di vita


Per il Mmg è importante identificare precocemente le donne affette da PCOS e tentare di motivarle a raggiungere o mantenere un peso corporeo il più vicino possibile alla norma, ad adottare una dieta equilibrata, a basso contenuto di zuccheri semplici e grassi e soprattutto a svolgere quotidianamente attività fisica, che è di fondamentale importanza per limitare l’insulino-resistenza (IR).
Va considerato che l’insulino-resistenza è presente sostanzialmente in tutte le donne obese e pertanto solo nelle pazienti policistosiche magre può essere necessario documentarla - per giustificare eventuali terapie insulino-sensibilizzanti - con esami di laboratorio che sono però imprecisi, come il rapporto glicemia-insulina, oppure indaginosi, come il clamp iperinsulinemico-euglicemico.
Le pazienti che affette da PCOS tendono a sottostimare l’importanza dello stile di vita vanno informate che non esistono terapie definitive, ma efficaci soltanto finché usate. Bisogna inoltre considerare i rischi e i costi delle terapie antiandrogeniche ed estroprogestiniche, degli induttori dell’ovulazione e le conseguenze a lungo termine di terapie complesse.
Dato che non è possibile intervenire sui fattori genetici che determinano la PCOS, va chiaramente spiegato che l’unico modo innocuo, “naturale” ed efficace è combattere l’iperalimentazione e la sedentarietà. Chi ne è affetto ha ereditato preziosi meccanismi di protezione da carenze alimentari che hanno permesso la sopravvivenza degli antenati in periodi bellici o di carestie. L’alterazione metabolica della PCOS era probabilmente, in periodi di restrizioni alimentari, “evoluzionisticamente vantaggiosa”. Per questo è oggi così diffusa e determina un fetta rilevante del lavoro quotidiano del Mmg, del ginecologo, del dietologo e del diabetologo.

Disturbi metabolici: insulino-resistenza


Il difetto endocrino-metabolico “chiave” della PCOS riguarda l’insulina e sembra dovuto a un’alterata fosforilazione del recettore insulinico, con conseguente difetto nella trasduzione del segnale. Questo può rimanere latente, se le beta cellule sono in grado di compensare, e rivelarsi solo in circostanze che aumentano l’insulino-resistenza, per esempio l'insorgere di un diabete gestazionale o un’intolleranza glicidica in corso di trattamento con corticosteroidi. Sono più predisposte alla PCOS le donne che hanno parenti di primo grado con diabete mellito di tipo 2 o che hanno alterazioni dei geni dell’insulina, degli ormoni riproduttivi, come la follistatina, o del metabolismo androgenico.
Anche se la glicemia a digiuno è normale, almeno il 40% delle donne con PCOS presenta un’intolleranza al glucosio e il 10-20% svilupperà nell'età media un diabete di tipo 2, ovvero in percentuale maggiore rispetto a coetanee di pari livello e tipo di obesità.
L’IR comporta un’iperinsulinemia compensatoria e nonostante esista una resistenza sistemica all'ormone, il tessuto ovarico rimane sensibile all'azione dell'insulina che stimola l’ipersecrezione di androgeni, agendo direttamente sulle cellule della teca ovarica, attivando il citocromo P450c17 e inoltre potenziando la sintesi di androgeni indotta dall’LH.
L'insulina agisce anche indirettamente riducendo l’SHBG, con conseguente aumento del testosterone libero, e la sintesi epatica della IGFBP-1, aumentando così la biodisponibilità di IGF-I, un altro importante regolatore della sintesi ovarica di androgeni. Infine può agire a livello ipotalamico modificando la secrezione pulsatile di LH e favorendo la sintesi preferenziale di androgeni.
L’IR può causare diabete clinico, dislipidemia mista e obesità nel 50% dei casi, con distribuzione di tipo androide addominale. Tutto questo aumenta il rischio di sindrome metabolica. L’American Diabetes Association riconosce la PCOS come fattore di rischio che giustifica lo screening con curva da carico per il diabete mellito. Inoltre, può essere utile in queste donne, anche giovani, dosare colesterolo LDL, HDL e trigliceridi.
La pressione arteriosa va monitorizzata già in età riproduttiva, considerato il maggiore rischio di ipertensione, dovuta a disfunzione endoteliale, e che può essere migliorata con insulino-sensibilizzanti. Riducendo l’insulina si riduce anche l’eccesso di PAI 1 (Plasminogen Activator Inhibitor Type 1) tipico delle PCOS, che predispone a coronaropatia e trombosi.
Trattare l’insulino-resistenza è il modo più efficace anche per ridurre l’elevatissimo rischio (circa 30 volte) di apnee notturne nelle donne con PCOS.

Trattamento farmacologico

Metformina

Benché la metformina non sia approvata per l’uso nella PCOS, esistono importanti evidenze in letteratura che ne dimostrano l’efficacia in questa indicazione. La metformina è il principale farmaco insulino-sensibilizzante usato nella PCOS e risulta efficace in quanto agisce proprio sul meccanismo chiave della sindrome, inibendo il rilascio epatico e l'assorbimento intestinale di glucosio e riducendo la gluconeogenesi. Essa riduce l’insulina e il testosterone libero e totale, favorisce l'ovulazione spontanea (3.88 volte meglio del placebo), la percentuale di gravidanze e riduce pressione arteriosa e colesterolo LDL.
La metformina migliora la risposta alle terapie con farmaci induttori dell'ovulazione: nelle terapie con metformina e clomifene citrato i tassi di ovulazione e di gravidanze sono 4.4 volte più alti rispetto a quelle con clomifene citrato da solo. Può essere somministrata a pazienti IR non diabetiche, non determina ipoglicemia, ma è controindicata in caso di disfunzioni epatiche o renali per il rischio di lattoacidosi. Può dare nausea, vomito e disturbi gastrointestinali, ma nessun effetto collaterale importante. Sembra anche che possa ridurre la percentuale di aborti spontanei e il rischio di diabete gestazionale nelle donne con PCOS, ma si attendono studi clinici controllati randomizzati, in particolare sui possibili effetti del farmaco sul feto. Dato che manca l’indicazione ministeriale e si attendono ulteriori dati sulla sicurezza, in particolare in gravidanza, si può usare strategicamente anche questa argomentazione per ottenere una migliore compliance al cambiamento di stile di vita.

Rischi oncologici
Il rischio di cancro mammario nelle pazienti con PCOS sembra analogo alle non affette, mentre il rischio di cancro endometriale è particolarmente aumentato nella PCOS e i contraccettivi orali sono una valida strategia preventiva.
In alternativa è utile somministrate periodicamente progestinici, con azione non androgenica e metabolicamente neutrali, nelle amenorree od oligomenorre protratte e quando lo spessore endometriale è eccessivo.
Va ricordato che i trattamenti ormonali agiscono solo finché vengono assunti: alla sospensione i segni della PCOS si ripresentano, se non si modificano le cause prime a livello metabolico.
Infine è fondamentale tenere conto che alcuni progestinici possono anche avere effetto glucocorticoide, che è particolarmente deleterio proprio nelle policistosiche, per lo stesso motivo l’uso dei glucocorticoidi va limitato ai casi di marcato iperandrogenismo di origine prevalentemente surrenalica.


Contraccettivi ormonali, iperandrogenismi e antiandrogeni

I contraccettivi ormonali (CO) regolarizzano il mestruo e trattano l’iperandrogenismo moderato, diminuendo gli androgeni e aumentando l’SHBG che li “sequestra”. Non vi sono studi che indichino quale sia il contraccettivo di prima scelta nelle PCOS: l’esperienza clinica e i dati farmacologici indicano comunque di prima scelta il CO con ciproterone acetato e nei casi in cui vi sia, o si voglia evitare, la ritenzione idrica preferire il CO con drospirenone, meno potente del primo, ma ottimamente tollerato.
Gli antiandrogeni, come la flutamide o il ciproterone acetato, associati ai CO, anche per impedire un concepimento e quindi il rischio teratogeno, sembrano essere più efficaci, rispetto ai soli contraccettivi orali, nel trattamento dell'irsutismo nelle donne con PCOS. Lo spironolattone può essere associato ai CO per aumentarne l’effetto antiandrogenico e limitare l’azione idrosodioritentiva. Il drospirenone è un ottimo progestinico, antiandrogenico e antimineralcorticoide, ben tollerato come CO ed efficace nei casi di moderato iperandrogenismo. Nei casi di marcata PCOS l’associazione di metformina, flutamide e CO contenenti drospirenone è un trattamento molto efficace, anche se impegnativo.
Vi sono pochi studi che consentono di stimare l’effetto dei contraccettivi orali sulle donne con PCOS riguardo all’effetto specifico su: tolleranza glicemica, iperdislipidemie e trombosi. Pertanto bisogna monitorizzare più strettamente queste pazienti.

Terapie per indurre l’ovulazione

Le donne con PCOS spesso sono infertili e presentano una scarsa risposta alle terapie di induzione: minore tasso di ovulazione e concepimento, necessità di dosaggi superiori di clomifene citrato o gonadotropine esogene e maggiori rischi iatrogeni, gemellarità e iperstimolazione ovarica.
Nelle tecniche della fecondazione assistita (FIVET - Fecondazione in vitro ed embryo transfer e ICSI - Inseminazione intracitoplasmatica dello spermatozoo) hanno una minore percentuale di gravidanze e un’aumentata frequenza di aborti spontanei.
Va considerato che nelle donne obese con PCOS l’esercizio fisico, una dieta ipocalorica e la riduzione del grasso corporeo, in particolare quello viscerale, comportano il miglioramento della funzione ovarica con possibile ripristino delle ovulazioni spontanee, l’aumento della fertilità e la normalizzazione del metabolismo glucidico con possibile riduzione del rischio di diabete mellito di tipo 2.
I carcinomi mammari e ovarici sembrano incrementati nelle PCOS, ma non è possibile distinguere il ruolo causale dell’obesità, dell’infertilità e delle terapie per indurre l’ovulazione.
Per motivi scientifici, etici, economici e di tutela da denunce bisogna quindi sempre tentare di trattare la PCOS con “terapie patogenetiche” (dieta ed esercizio fisico), almeno nelle donne in sovrappeso od obese, prima di utilizzare induttori dell’ovulazione: sono sufficienti minime riduzioni di peso (del 2-7%) per diminuire gli androgeni e migliorare o ripristinare l’ovulatorietà spontanea.

Conclusioni


Nelle donne obese con PCOS la terapia di prima scelta è rappresentata dall'esercizio fisico e dal controllo del peso: negli USA l’incremento dei casi di PCOS è parallelo a quello dell’obesità.
Le terapie farmacologiche vanno associate se non si ottengono risultati o non vengono sufficientemente seguiti dieta e attività fisica. Anche alle pazienti con PCOS non obese sembra prudente suggerire di mantenere il peso entro i valori normali e di svolgere molta attività fisica. Per i molteplici aspetti di questa sindrome le donne consultano molti specialisti di diverse discipline, dal periodo dei disturbi endocrini adolescenziali, ai problemi di fertilità e gravidanza, fino alle patologie cardiovascolari, metaboliche e neoplastiche cui vanno maggiormente soggette.
Ma il ruolo del Mmg è di fondamentale importanza per tentare di fare capire a queste pazienti che un costante impegno nel migliorare lo stile di vita, iniziando il più precocemente possibile, riduce la necessità di dover ricorrere a vita a una lunga serie di trattamenti delle varie manifestazioni sintomatiche della PCOS nelle diverse età.


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