M.D. numero 23, 22 giugno 2005

Appunti
Da grande desidero fare il tutor

La telefonata dall’Ordine dei Medici arriva inattesa: “Ricorda quella domanda per il corso da tutor di qualche anno fa? È arrivata l’ora. Lei è il primo in graduatoria. Il corso si terrà presso l’Ordine di Bari”. Così, con altri due colleghi, inizia il viaggio in automobile in direzione Bari per poter partecipare al corso di formazione residenziale su “L’attività di tutor in medicina generale. Caratteristiche del setting tutoriale nei processi di insegnamento, apprendimento e valutazione”. Un evento Ecm dotato di ben 17 crediti. Come rinunciare?
D’altra parte a chi non farebbe piacere fare il tutor a laureandi (per due settimane), ai colleghi che devono affrontare il pre-esame di Stato (un mese), e a coloro che partecipano al corso di formazione specifica (sei mesi) per diventare Mmg? A dire il vero, due delle tre esperienze elencate non mi sono nuove. Ho svolto funzione di tutor per tre colleghi del corso di formazione specifica, con reciproca (si spera) soddisfazione e a una studentessa della Sapienza di Roma (la figlia di un vecchio professore di liceo) all’ultimo anno del corso di laurea. Quest’ultima esperienza mi aveva lasciato un po’ di amarezza stante la mancata strutturazione del tirocinio, fatto solo per recuperare la firma di frequenza, e, forse, cosa collegata alla prima, perché nessun rapporto, né economico né istituzionale, si era creato con l’Università. Perché, mi si chiederà, partecipare ad un corso per tutor se lo si è già? Perché tale qualifica mi era stata assegnata in Basilicata in quanto animatore di formazione. Ma non avevo mai partecipato a un corso strutturato per tale finalità. I requisiti minimi richiesti: anzianità di convenzionamento con il Ssn di almeno 10 anni, carico di assistiti superiore a 750, studio dotato dei requisiti di legge, compresi i criteri aggiuntivi di preferenza ai fini dell’attività tutoriale, come l’uso del personal computer e di software gestionale, la presenza di collaboratore di studio e infermiere professionale, l’attività di animatore di formazione, c’erano tutti. Perché rinunciare?
Eccoci a Bari, in 40 discenti, a seguire i colleghi docenti e animatori esperti di metodologie formative rappresentanti le diverse società scientifiche della medicina di famiglia, dall’AIMEF alla SIMG, dalla SIMEF alla SNAMID.
Apre il corso Giacomo Tritto presidente dell’AIMEF, sottolineando che finalmente l’Università ha riconosciuto la MdF come disciplina autonoma come già accade in Gran Bretagna e Francia. Un motivo per cui diventa sempre più indispensabile che i Mmg abbiano consapevolezza del loro ruolo, siano in grado di trasmettere ai tirocinanti, sul campo, in ambulatorio e al domicilio dei pazienti, l’unicità della specializzazione in MdF.
Il corso poi procede lungo i canovacci delle competenze costitutive della medicina di famiglia, partendo dal Documento Wonca 2002, dai suoi contenuti didattici, con cenni a teorie pedagogiche dell’apprendimento. Non sono mancate relazioni sul ruolo del medico tutor, sulla tecnica di insegnamento tutoriale con metodologia e strumenti didattici, sulla triade tutor-tirocinante-paziente, e sul contesto normativo. L’ultimo modulo è basato sul come valutare. Come ogni Ecm che si rispetti, al pre-test iniziale si è contrapposto il post-test finale con inframezzate 5 esercitazioni pratiche in gruppi seguite da discussione in plenaria. Ed alla fine ecco tutti i 40 partecipanti ritirare i titoli di “Tutore in medicina generale”.
Non dico che sia stato come discutere la tesi, però, lo giuro, il mio diploma è già in bella esposizione sulla parete del mio ambulatorio. Non vorrete mica che rinunci alla soddisfazione di esibire un nuovo titolo ai miei assistiti anche se poi questi ci scelgono tenendo più in conto la nostra non eccessiva intransigenza nel rilasciare certificati, nel trascrivere ricette, per lo più specialistiche, che quasi mai contemplano i limiti preposti dalle note AIFA. Da domani, però, basta! Il tutor deve dare e essere d’esempio per il tirocinante. Già, il tirocinante. La domanda fatidica, infatti, nel ritirare l’attestato è stata: “Ma, avremo mai un tirocinante?”. “Per ora, prenditi il titolo - mi ha risposto un collega - poi, magari, da grande, si vedrà”.

Filippo Mele

Medico di medicina generale
Policoro (MT)


Punture
Perché non lasciare a noi le decisioni che riguardano il nostro lavoro?
Alcune Regioni hanno già pubblicato il nuovo Piano Sanitario Regionale (PSR), altre si accingono a farlo.
Come è noto il periodare regionalese rinnega da sempre il fraseggio breve, chiaro e intervallato da una corretta punteggiatura finalizzata alla comprensione degli stessi testi. Concetti prolissi e sintatticamente mediocri riconfermano che il linguaggio burocratico è ostico e per chi vuol capire il come, il quando e il perché è buio fitto (M.D. 2005; 17: 12). L’idioma dei nuovi PSR non si discosta da ciò e non c’è traccia di idee stimolanti. Sembra quasi che esista un “generatore automatico di Piani Sanitari”. La prima versione del “generatore” risale al 1982, ma di recente è stato arricchito per far fronte alle nuove richieste della moda burocratica sanitaria. Combinando in vario modo le parole si possono generare più di 35 milioni di frasi, tutte altisonanti, tutte condivisibili e tutte drammaticamente vuote. Capita poi che qualcuno proponga delle sostituzioni terminologiche più aderenti alla realtà.
L’Arcivescovo di Milano, per esempio, ha proposto di sostituire il termine di azienda sanitaria con quella di impresa sanitaria.
L’azienda verrebbe considerata come un organismo economico diretto al raggiungimento di uno scopo. L’impresa è definita come un’attività economica organizzata per scambiare o produrre beni e servizi.
In effetti la medicina è una vera impresa morale.
Come il giudice o il prete, il medico prende le decisioni attraverso un mandato esteso di fiducia. I medici sono intellettualmente preparati a operare in autonomia decisionale.
Da questo punto di vista accettano di buon grado anche il controllo, ma solo se esercitato da colleghi che comunque continuano a esercitare la professione. Non tollerano invece le autorità gerarchiche istituzionalizzate e policitizzate che mancano di competenza operativa e di attività esercitata quotidianamente sul campo. La sofferenza raggiunge livelli estremi quando i medici sono costretti, da normative regionali e aziendali, a relazionarsi con non medici gerarchicamente sovraordinati. Lasciando al direttore generale di una ASL una valenza più propriamente politica, ai medici operativi dovrebbero spettare ruoli di direttore sanitario, di distretto, dei vari dipartimenti e dei vari servizi. Per salvare il salvabile è necessario che la gestione e il potere ritorni nelle mani di chi opera sul campo quotidianamente e che considera lo stesso lavoro come proprio dovere e legittimazione del proprio stipendio.
Qualcuno, prima o poi scoprirà che il re è nudo e senz’altro le cose cambieranno. È possibile che si invochi, secondo la teoria dei corsi e ricorsi storici, il ritorno del paternalismo medico, sepolto
a suo tempo con troppa fretta. Ma, a Dio piacendo, allora dovremmo essere già in pensione.
Per ora, come sosteneva un anonimo francese del ‘700, ci troviamo in un “cul de sac” e per uscirne ci vorrà, verosimilmente, “un sac de…”

Dottor Luter Blisset
ex centravanti, un po’ arretrato, trequartista tattico da centrocampo,
in pratica mediano di spinta




Lettera aperta alla FNOMCeO e ai sindacati

Apprendo dalla carta stampata che il presidente dell’Autorità Antitrust ha proposto per i medici di famiglia l’obbligo di trascrivere nelle ricette il principio attivo e non il nome commerciale dei farmaci. A tale proposta si sono opposti il presidente della FNOMCeO e alcuni esponenti sindacali.
Mi dissocio radicalmente dalla posizione del presidente dell’Ordine e degli esponenti sindacali e chiedo agli stessi di rispondere alle domande che seguono.
1) Ritengono essi che i medici di famiglia abbiano e il dovere e la possibilità di sapere se vi sono differenze sostanziali di efficacia fra le diverse confezioni commerciali di farmaci che contengono lo stesso principio attivo?
2) Ritengono essi che i medici di famiglia conoscano, oltre al principio attivo, anche gli eccipienti di tutte le diverse confezioni di farmaci che prescrivono? Se sì, vogliano cortesemente favorire la bibliografia degli studi che dimostrano ciò.
3) Sono essi al corrente di prove sperimentali derivate da studi correttamente eseguiti che dimostrano differenze di efficacia fra diverse confezioni di uno stesso principio attivo commercializzate da case farmaceutiche diverse? Se sì, vogliano cortesemente favorire la relativa bibliografia.
4) Sono essi consapevoli del fatto che, se le risposte alle domande precedenti risultano negative, l’insistenza da parte dei medici, singolarmente o tramite le loro rappresentanze istituzionali e sindacali, a reclamare per sé il diritto di imporre al paziente il principio attivo commercializzato da una data casa farmaceutica e non da altre comporta il ragionevole sospetto dell’esistenza di parzialità di determinati medici verso determinate aziende farmaceutiche?
E non ritengono essi che tale sospetto possa nuocere al decoro della professione?
Preciso che su tali punti attendo risposte esatte, esaurienti e convincenti tramite gli organi di stampa destinati ai medici. Se non dovessi ottenerle, le chiederò alla Magistratura.

Antonio Attanasio

Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)