M.D.
numero 22, 15 giugno 2005
Diario
ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia
- Cronaca di una settimana
A cura di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile
Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
e di Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia,
Docente Scuola di Medicina di Famigli,a Università di Udine
Lunedì
Quando
sono uscito dallo studio per fare accomodare un nuovo paziente
mi sono reso conto che Antonio se nera andato. Non ha
avuto la pazienza di aspettare. Mi è molto dispiaciuto
perché è un paziente difficile, sfuggente e diffidente,
come la maggior parte dei pazienti psichiatrici. Non lo conosco
bene, è venuto nel nostro ambulatorio un paio di volte.
La prima volta è venuto con una lettera di uno psicologo
che mi faceva sapere che lo stava curando ma non mi diceva perché.
Ho provato a indagare, con domande aperte, ma tutto quello che
ho potuto sapere è che era già stato ricoverato
in passato per depressione e che era stato inviato allo psicologo
dalla sorella. Ho saputo anche che la compagna, con cui vive
da un anno, non sa niente della sua situazione. La seconda volta
che è venuto, chiaramente non compensato, mi ha detto
che non aveva voglia di parlare di cosa gli fosse successo e
che ne avremmo discusso in seguito. Sono riuscito a prescrivergli,
dopo una certa contrattazione, un antidepressivo. Oggi avrei
voluto sapere come sta, ma se nè andato. Purtroppo
è una storia che si ripete frequentemente.
Un paziente depresso, spesso, non ammette di esserlo e spesso
rifiuta le cure. Per noi questo è un problema, un problema
serio, che può avere serissime conseguenze. Nel paziente
psichiatrico viene notevolmente amplificata la dicotomia tra
quello che il paziente vuole e quello di cui in realtà
necessita. Tutti i giorni dobbiamo mediare fra queste due istanze:
un paziente diabetico ha bisogno di tenere in compenso lemoglobina
glicata, ma ha anche bisogno di un antiaggregante piastrinico,
di un inibitore del sistema renina-angiotensina e spesso di
una statina, ma questo lui non lo sa e per questo va educato
e informato.
Qualcuno pensa di risolvere la sua artrosi con terapie fisiche,
qualcun altro crede che per curare lasma basti un beta2-stimolante.
Spesso i pazienti hanno pretese assurde e non conoscono i loro
veri bisogni. Tutti i giorni noi cerchiamo di preoccuparci delle
loro necessità ma, più di qualche volta, per uninfinità
di ragioni, dobbiamo arrenderci alle loro volontà.
Una parte significativa dei nostri pazienti proviene da Paesi
extraeuropei. Tra di loro abbiamo un simpaticissimo africano,
un bel ragazzo nero come il carbone, che sembra avere come unico
scopo nella vita quello di fare allamore. Dottore,
ho scoperto le cinesi, sono dolcissime e sono caldissime.
Stai attento, stiamo vedendo molte malattie trasmesse
sessualmente. Hai ragione dottore, devo stare più
attento, ormai ci sono troppi stranieri!
Martedì
Achille ha subìto due anni fa un intervento di prostatectomia
radicale e linfoadenectomia pelvica per una neoplasia alla prostata.
Si trattava di un adenocarcinoma infiltrante bilaterale con
estensione extracapsulare. Ha eseguito un ciclo di radioterapia
e, da allora, è in terapia con leuprorelina e bicatulamide.
Da subito non ha più avuto la possibilità di avere
una vita sessuale normale. Dopo alcuni mesi dallintervento
ha cominciato a farci qualche domanda e ci ha chiesto se mai
avesse potuto riprendere, anche con frequenza molto minore,
lattività che aveva prima delloperazione.
Achille è un sessantenne che è sempre stato bene
e stava bene anche al momento della diagnosi. Solo un controllo
casuale del PSA aveva messo in evidenza il problema; tutto è
cominciato con quel controllo e con lagobiopsia. Ci ha
confessato che ultimamente ha provato ad assumere sildenafil
che gli ha procurato un amico, ma presto si è accorto
che il farmaco non faceva per lui.
La settimana scorsa gli abbiamo prospettato la possibilità
di usare lalprostadil; gli abbiamo spiegato di cosa si
trattava e gli abbiamo detto quale fosse la via di somministrazione.
Quando ha realizzato che si trattava di iniettare il farmaco
per via intracavernosa ha avuto una reazione di rifiuto e ha
preferito rinunciarvi. Noi comunque gli abbiamo fatto la prescrizione
e lo abbiamo invitato a pensarci e saperci dire. Oggi è
tornato con la confezione del farmaco in mano. Dottore,
proviamo, Bene, Achille, mi dia la fiala; cerchiamo
il dosaggio giusto per lei, dobbiamo evitare unazione
troppo prolungata o un sottodosaggio. Iniettato il farmaco,
Achille si è accomodato in sala dattesa. Mentre
mi accingevo a visitare il paziente successivo, sono uscito
dallo studio, lui con un cenno del capo e della mano mi ha fatto
capire che non succedeva niente; sono rientrato e riuscito dopo
una decina di minuti. Il suo sguardo era raggiante. Tutto
a posto, lei è un mago!. Va bene, adesso
attendiamo e vediamo quanto dura leffetto. No,
grazie dottore, vado a casa subito, le telefono io quando leffetto
finisce!
Mercoledì
Questi giorni stiamo vedendo i nostri pazienti al di sopra dei
50 anni che hanno aderito allo screening per i tumori del colon-retto
mediante la ricerca del sangue occulto fecale, promosso dalla
locale azienda sanitaria. Anche oggi due persone si sono rivolte
a noi, angosciate, a causa della positività del loro
test. Cosa succederà ora?. La domanda non
si riferisce certo alla colonscopia (cui sono stati invitati
a sottoporsi), ma è una domanda che richiede una risposta
su un tema molto più ampio: il cancro.
Cosa succederà ora? è un quesito molto
pesante, soprattutto quando è posto da coloro che hanno
avuto pregresse esperienze di neoplasia in famiglia o personali.
A questa domanda bisognava rispondere prima che fosse posta,
prima di iniziare lo screening. Prima del reclutamento si sarebbe
dovuto dire: In caso di positività del test potremmo
trovarci di fronte a queste possibilità
;
il fatto che questa domanda ci venga posta ora significa che
non cè stata informazione corretta.
Ancora una volta, comunque, il nostro ruolo è quello
di essere accanto alle singole persone. Lo screening è
di massa, ma la domanda la fanno i singoli. Le paure, le ansie
e i drammi riguardano sempre gli individui, unici nella loro
inequivocabile diversità.
Giovedì
Giorgio, mio compagno delle elementari, viene ormai ogni giorno
in ambulatorio.
A distanza di mesi non si è ancora giunti a una diagnosi
definitiva. Le metastasi ossee, sempre più diffuse, gli
stanno procurando dolori che facciamo fatica a controllare.
Sta assumendo morfina, cortisone, paracetamolo e antidepressivi.
La biopsia ossea non è riuscita a darci informazioni
circa lorigine della neoplasia, sappiamo solo che è
un carcinoma indifferenziato. Tutte le indagini non hanno portato
ad alcuna conclusione e dopo la PET il paziente sembra essere
stato abbandonato al suo destino. Il colorito è terreo,
continua a perdere peso, le masse muscolari si sono ridotte
e Giorgio è lombra della persona che era. Ogni
giorno cerchiamo di fare qualcosa per limitare al massimo i
sintomi e per cercare di mantenere il morale ad un livello decente.
Credo che lui sappia benissimo che ci stiamo prendendo cura
di un incurabile. Il senso di impotenza è profondo; profondo
tanto sono enormi la nostra inadeguatezza e la nostra frustrazione.
Oggi abbiamo voluto parlarne con il figlio, che ci sembrava
non si fosse reso conto della gravità della situazione.
È drammatico dovere spiegare a un ventenne che presto,
molto probabilmente, perderà il padre.
Venerdì
Una cosa è certa, la medicina di famiglia italiana ha
perso unaltra occasione: quella di informare.
Ce ne siamo resi conto in periodo di referendum: linformazione
che è stata fornita è stata assolutamente insufficiente
e la maggior parte della gente non è stata messa a conoscenza
del significato di termini come fecondazione eterologa, fecondazione
assistita, cellule staminali, ricerca e perfino embrione. Le
società scientifiche della medicina generale non si sono
sentite, eppure la nostra pratica quotidiana ci conferma che
la gente ci ascolterebbe più che volentieri.
Sabato
Paola è venuta a chiederci dei giorni di malattia. Quando
ho chiesto il motivo della richiesta è scoppiata in lacrime;
ieri sera ha perso il fratello in un incidente stradale.
La mortalità e linvalidità conseguenti agli
incidenti stradali stanno toccando cifre insopportabili. Noi
cerchiamo di prevenire le cause di malattia e di invalidità,
cerchiamo di diminuire i fattori di rischio per le malattie
metaboliche e per gli eventi cardiovascolari; cerchiamo di portare
il colesterolo sotto i 200 mg/dl e di mantenere unemoglobina
glicata attorno al 6% anche in soggetti di una certa età.
Ma perché noi medici non prendiamo seriamente in considerazione
gli incidenti stradali come causa di malattia, perché
non organizziamo consensus conference o non produciamo opinion
papers, discussion papers, policy statements e linee guida su
questo problema? Perché non consideriamo i veicoli come
fattori di rischio di malattia? Forse perché non ci sono
prodotti farmaceutici a sostenere la ricerca in questo campo?
Eppure i lutti, i ricoveri in ortopedia e in neurochirurgia,
le invalidità permanenti e i costi sociali dovuti a questa
patologia hanno una prevalenza che poche altre malattie
hanno.