M.D. numero 21, 8 giugno 2005

Terapia
Parkinson: progressi con i dopamino agonisti
di Fabrizio Stocchi - Istituto Neuromed, Venafro (IS)

Un nuovo significativo miglioramento nella strategia terapeutica della malattia di Parkinson è rappresentato dallčutilizzo precoce dei farmaci dopamino agonisti, in grado di proteggere dallčinsorgenza dei movimenti involontari e dalle fluttuazioni motorie.

L
a terapia a lungo termine dei pazienti parkinsoniani è condizionata dall’insorgere di fenomeni “on-off” - ovvero fluttuazioni motorie per cui il paziente alterna durante la stessa giornata periodi in cui è perfettamente mobile (“on”) a periodi in cui i sintomi parkinsoniani riemergono (“off”) - e discinesie, movimenti involontari abnormi che accompagnano le fasi di benessere del paziente.
I movimenti involontari o “discinesie” compaiono dopo 2-7 anni di terapia con levodopa e consistono in movimenti ripetuti degli arti e del tronco, talvolta anche del capo, non controllabili dal paziente, che costringono i più gravi ad un interminabile involontario “balletto”.
Le fluttuazioni motorie (fenomeni “on-off”) consistono nell’alternarsi, durante la stessa giornata, di periodi di motilità molto vicini alla normalità a periodi di grossa lentezza e difficoltà di movimento. Se questi periodi di “off” divengono imprevedibili, l’impatto sulla qualità della vita del paziente è enorme.
Il trattamento farmacologico di questi pazienti è quindi condizionato dalla necessità di ritardare quanto più possibile l’insorgenza di tali complicazioni. Infatti, alla grande svolta terapeutica rappresentata negli anni Settanta dall’introduzione della levodopa, hanno fatto seguito innumerevoli tentativi per superare i “limiti” di questa fondamentale terapia, rappresentati essenzialmente dall’insorgenza dei movimenti involontari e delle fluttuazioni motorie.
Oggi sappiamo che è possibile ritardare la comparsa dei movimenti involontari e delle fluttuazioni motorie utilizzando i dopamino agonisti come farmaci di primo approccio terapeutico e associando la levodopa in un secondo tempo. Questo può essere affermato alla luce dei dati riportati da fondamentali studi clinici, di cui il primo e più lungo (5 anni) è lo studio denominato 056, che ha messo a confronto la terapia con levodopa con quella basata sull’uso di un dopamino agonista, il ropinirolo, pubblicato qualche anno fa su New England Journal of Medicine (2000; 342: 1484-91).
L’iniziale entusiasmo seguito alla pubblicazione di questi studi è stato poi seguito da scetticismo, alimentato da alcuni clinici che ritenevano non significativo il posporre la comparsa di discinesie di qualche anno e che sostenevano che le complicanze motorie tornavano ad essere altrettanto gravi in tutti i pazienti a prescindere dal trattamento iniziale.
Oggi i dati a lungo termine dello studio 056, ropinirolo verso levodopa, smentiscono queste teorie e provano che dopo 10 anni i pazienti che hanno iniziato la terapia con ropinirolo continuano ad avere meno discinesie dei pazienti trattati con levodopa, e questo senza alcuna differenza sul controllo dei sintomi (i risultati a 10 anni dello studio 056 sono stati presentati al 9th International Congress of Parkinson’s Disease and Movement Disorders, New Orleans, 5-8 marzo 2005, ndr).
I dati convalidano la tesi che la terapia iniziale del paziente parkinsoniano dovrebbe essere a base di dopamino agonista e l’uso della levodopa dovrebbe essere ritardato e iniziato soltanto quando il paziente ne ha bisogno.


Prime evidenze di effetti neuroprotettivi
Un’altra novità interessante per i pazienti parkinsoniani è che i farmaci dopamino agonisti, in particolare ropinirolo e pramipexolo, riducono la degenerazione dei terminali dopaminergici se usati precocemente. Questi dati emergono da due importanti studi, lo studio REAL-PET (Ann Neurol 2003; 54: 93-101) e lo studio CALM-PD-CIT (JAMA 2002; 287: 1653-61), dove è stata utilizzata la tecnica delle neuroimmagini funzionali per valutare la degenerazione in vivo. I due studi che hanno coinvolto circa 300 pazienti sono stati condotti in Europa e negli Stati Uniti e i dopamino agonisti sono stati comparati alla levodopa.
Questi dati di neuroimmagini vengono confortati da uno studio clinico condotto recentemente sui sintomi non motori della malattia (disturbi del sonno, depressione, costipazione, disfagia, disturbo di equilibrio, scialorrea, diplopia, dolori ecc). Questi sintomi sono considerati non dopaminergici e quindi poco rispondenti alla terapia farmacologia. Ebbene, in questo studio (anch’esso presentato al congresso di New Orleans) è emerso che i pazienti in terapia con dopamino agonisti presentavano meno sintomi non motori
di quelli trattati con levodopa. Questo dato potrebbe indicare un potenziale effetto protettivo da parte degli agonisti. Per tutti i pazienti iniziali, soprattutto i più giovani o comunque “biologicamente” giovani, l’approccio in prima battuta con il dopamino agonista rappresenta dunque la strategia terapeutica migliore, perché ci consente di assicurare una buona efficacia immediata e un’ottima strategia per il futuro. I risultati di questi studi inoltre confortano quella che è sempre stata un’idea della scuola Italiana ed è quindi con particolare soddisfazione che questi risultati sono stati accolti.