M.D. numero 21, 8 giugno 2005

Vox Legis
Scheda tecnica: indicazioni obbligatorie per il medico
di Alfonso Marra Magistrato, Milano

N
on seguire le raccomandazioni di un farmaco contenute nel riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) o “scheda tecnica”, costituisce per il medico un grave comportamento colposo. È quanto si rileva dalla sentenza della Corte di Cassazione sezione IV penale n. 46586 del 28 ottobre 2004.
Più precisamente la Cassazione ha stabilito che se nel riassunto delle caratteristiche del prodotto è riportato che la prescrizione del farmaco deve sempre essere accompagnata da periodiche indagini ematochimiche per controllare gli effetti collaterali, il medico curante non può non seguire tale indicazione.
Anche nell’ipotesi in cui egli si prenda in carico un paziente, già in cura da un altro medico, che assume farmaci con riconosciuti effetti collaterali - per esempio nefrotossici come nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione - è obbligato a fare sottoporre il paziente a periodiche indagini ematochimiche per rilevare tempestivamente l’insorgere di eventuale malattia renale, così come raccomandato nella scheda tecnica del farmaco prescritto.
Con tale sentenza la Cassazione ha ritenuto legittima la condanna inflitta nei due gradi di processo antecedenti (multa con conseguente risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio) a un medico curante, applicata per il reato di lesioni colpose (art. 590 del Codice Penale), ritenendo che l’omissione abbia causato l’insorgenza di patologia renale.

I fatti


Il medico seguiva il caso di un paziente affetto da rettocolite ulcerosa, al quale in precedenza era stata prescritta mesalazina, il cui impiego si accompagna a possibili effetti collaterali sull’apparato renale.
Come indicato dalle raccomandazioni riassunte nelle caratteristiche del prodotto, il curante avrebbe dovuto praticare il monitoraggio in corso di terapia della funzionalità renale prescrivendo i dovuti esami periodici. Iter che il medico ha omesso di seguire.
Al paziente in cura, sottopostosi successivamente a indagini diagnostiche, era stata riscontrata una nefropatia tubulo interstiziale acuta, da cui sarebbe guarito dopo diciassette mesi di trattamento.
Se fossero stati effettuati periodicamente gli esami ematochimici, come indicato nel RCP, questi avrebbero evidenziato un valore di creatinina superiore a quello considerato normale. Il riscontro di tale alterazione avrebbe consentito un intervento tempestivo, con tutte le conseguenze favorevoli per il paziente.
Ma tale prassi era stata omessa dal medico curante, provocando un danno evitabile per il soggetto in trattamento.

Altre evidenze


La Cassazione ha inoltre rilevato che sebbene le raccomandazioni contenute nel RCP della mesalazina solo dall’anno 2000 avrebbero indicato il monitoraggio dei pazienti in trattamento, ciò non può essere considerato come una attenuante.
Prima del 2000 comunque la scheda tecnica conteneva l’avvertenza di un cauto uso del principio attivo nei pazienti con danno renale ed epatico: era scritto a chiare lettere di “evitare l’impiego nel caso di soggetto con conclamata insufficienza renale”.
Per la Cassazione tale dettato avrebbe imposto comunque uno specifico e preventivo, oltre che periodico, controllo della funzionalità renale e quindi la necessità di prescrivere appositi esami di laboratorio, per verificare eventuali controindicazioni all’utilizzo del trattamento con mesalazina.
Una procedura in linea comunque con le responsabilità professionali del medico inerenti agli ordinari criteri di diligenza e di prudenza, la cui osservanza fa riferimento all’art. 42 del Codice Penale.
La Suprema Corte ha quindi rilevato che la condotta omissiva del medico curante è stata condizione necessaria dell’evento lesivo patito dal paziente. E questo in base ai principi espressi dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite penali nella sentenza del 10 luglio 2002
n. 30328, in tema di rapporto di causalità nei comportamenti omissivi secondo cui l’omissione sarebbe stata, con alto grado di credibilità razionale e probabilità logica, condizione necessaria della patologia renale.

La certezza processuale


In merito al caso in questione sussiste la cosiddetta “certezza processuale”, legittimata dal valore di tutte le circostanze del caso esaminato, secondo un procedimento logico simile a quello che viene effettuato per valutare la portata della prova indiziaria (art. 192 CPP). Procedimento che consente di poter collegare un evento a una condotta omissiva “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Con alto grado di credibilità razionale e di probabilità logica, la Cassazione ha ritenuto che per il grave stato patologico del paziente affetto da rettocolite ulcerosa, sottoposto ad una terapia farmacologica aggravata da possibili effetti tossici a carico del rene, la pratica e la prescrizione degli esami ematochimici di controllo avrebbe evitato “con certezza processuale” la nefropatia renale.