M.D.
numero 21, 8 giugno 2005
Counselling
Il medico, la malattia e la morte
di Emanuele Zacchetti - Medico di medicina generale, Psicoterapeuta,
Borgosesia (VC)
Il decesso di un paziente suscita forti emozioni, ma l¹impegno
del medico di famiglia nell¹assistenza a un malato terminale
può essere un ambito dove ritrovare il valore della professione
oltre a una profondità dell¹esperienza lavorativa e umana.
E' un
giorno di fine gennaio, un giorno come tanti, ma ricco di emozioni.
Esco dalla bella casa di Marisa, una mia paziente di 64 anni
morta per un carcinoma pancreatico infiltrante con metastasi
diffuse alladdome. È uno di quei casi dove la medicina
può fare poco - pochi mesi di vita dalla diagnosi alla
morte - ma dove possono fare molto la relazione, la sensibilità
delle persone che stanno vicino al malato, le figure dei medici
che curano il dolore e sostengono la persona.
Marisa ha sofferto da sempre di una forma grave di depressione
maggiore, ha assunto antidepressivi e neurolettici per anni,
ma è sempre stata una persona mite, ha seguito le terapie
con regolarità e malgrado la sua sofferenza interiore
è sempre stata gentile e corretta con tutte le persone
che lhanno avvicinata. Donna sensibilissima ha sofferto
intensamente per ogni cambiamento, per una lieve malattia, è
andata in grande apprensione per piccoli interventi chirurgici.
Lesordio di una grave malattia neoplastica mi aveva preoccupato
per le conseguenze sulla sua psiche; mi aspettavo una reazione
grave con un riacutizzarsi della patologia depressiva di base.
Anche se la diagnosi non è stata comunicata in modo diretto,
gli accertamenti eseguiti, le visite specialistiche, la terapia
del dolore iniziata, le parole sussurrate nella stanza accanto
a quella dove lei riposava, i sintomi sempre più gravi,
lhanno portata a percepire la gravità della malattia
anche senza una comunicazione esplicita. Quello che è
avvenuto è stato diverso da quello che ci aspettavamo,
Marisa ha affrontato la malattia, il dolore, i gravi sintomi
con estrema fermezza e con una serenità inaspettata in
una persona così fragile e sofferente di un disturbo
depressivo così importante.
Lesperienza personale
Interessandomi di psiconcologia e di tecniche di ipnosi ericksoniana
in questo ambito, ho seguito la mia paziente applicando alcuni
di questi metodi finalizzati alla riduzione del dolore e dellansia
e per un sostegno psicologico durante il decorso della malattia.
La terapia psicologica per la riduzione del dolore si è
abbinata a quella farmacologica con buoni risultati e ha permesso
fino a quasi gli ultimi giorni una buona qualità di vita,
con capacità di accudirsi, di alimentarsi, di muoversi
e un buon controllo della sintomatologia dolorosa.
Considerazioni
Questo caso così particolare mi ha suggerito alcune importanti
considerazioni. La prima riguarda la dignità e la forza
interiore nellaffrontare la morte. Spesso succede che
persone con disturbi psichici affrontino malattie terminali
con dignità, fermezza e capacità di sopportazione
fuori dal comune, che ci fanno pensare a risorse interiori nascoste
dalle loro patologie croniche, ma capaci di emergere in momenti
fondamentali della vita. Forse labitudine al dolore e
alla depressione li fa essere maggiormente capaci di staccarsi
da questa vita e preparati a cambiamenti così importanti
e senza ritorno che vengono imposti dalle malattie terminali.
La psiconcologia
Unaltra considerazione riguarda la possibilità
di diffondere anche ai medici di famiglia, interessati allargomento,
tecniche e modelli di comunicazione usati in psiconcologia.
Luso di tecniche di rilassamento o di visualizzazione
guidata possono essere apprese e usate nellassistenza
ai pazienti terminali anche in ambiti, come gli ospedali di
provincia e allinterno delle cure domiciliari, dove non
è presente la figura dello psiconcologo.
Secondo una nota psichiatra (Kùbler Ross E. La morte
e il morire. La Cittadella, Assisi 2003), i passaggi dalla presa
di coscienza di una malattia a prognosi infausta alla morte
prevedono sei fasi che in genere si osservano nella pratica
clinica: rifiuto e isolamento, collera, venire a patti, depressione,
accettazione, speranza. Per il medico conoscere queste fasi
e saperle prevedere vuole dire gestire meglio i momenti di aggressività,
di tristezza, di apatia, di negazione di malattia, ma anche
di speranza che possono alternarsi nel paziente terminale.
Comunicazione della diagnosi
Per quanto riguarda la comunicazione della diagnosi infausta
si osservano due posizioni definite: quella vicina al mondo
anglosassone, in cui si reputa importante comunicare sempre
la diagnosi, e quella tipica dei paesi come lItalia, in
cui si tende a nascondere la verità, pensando che sarebbe
troppo doloroso rivelarla, ma togliendo così ogni speranza
per continuare a vivere. Ritengo che non possa esistere un modello
di comunicazione rigida: il medico deve saper cogliere in ogni
situazione quale può essere la verità che quella
persona particolare può e vuole cogliere. È importante
sapere adeguarsi al suo modello di realtà e comunicare
la diagnosi nei modi e nei tempi più opportuni. Ogni
essere umano è unico e irripetibile, ognuno ha una storia
individuale e una sfera emotiva particolare, come medici dobbiamo
adeguarci a questo e sapere cogliere quello che la persona desidera
conoscere e in base a questo comunicare nel modo più
appropriato. Per alcuni è fondamentale sapere la verità,
per altri è meglio che sia velata.
Preparazione universitaria
Vi è una scarsa attenzione nella preparazione universitaria
e nellaggiornamento post-laurea alle tematiche riguardanti
il sostegno psicologico nei confronti di pazienti con malattie
terminali. Sembra che questo aspetto della malattia sia quasi
dimenticato nella formazione del medico, forse perché
mette in gioco dinamiche emotive che si preferisce non attivare,
a volte per paura, imbarazzo, o semplicemente perché
non si ritiene utile attivarle.
In genere il medico usa il buon senso e lempatia, spesso
è adeguato al suo compito di sostegno, ma possono essere
utilizzati nuovi schemi comunicativi, migliorando la relazione
e dando così la possibilità a pazienti fragili
di confidare emozioni, paure, sentimenti che magari non sarebbero
mai stati comunicati.
Aspetti spirituali
Nellambito dellassistenza al paziente terminale
possono manifestarsi aspetti spirituali e religiosi, che spesso
non vengono colti o attentamente valutati dal medico che ha
in cura il paziente. Spiritualità e religiosità
non necessariamente coincidono: la dimensione spirituale non
ha una connotazione primariamente religiosa, ma si riferisce
alla dimensione umana e può appartenere anche a chi si
professa non credente. Ascoltare ed essere sensibili a questi
aspetti che il paziente a volte comunica in modo non ben definito
è un atto molto importante che può arricchire
il malato nei suoi ultimi giorni, ma soprattutto può
dare un profondo significato alloperato del medico. Il
medico deve essere cosciente che comunicazioni su questi temi
possono emergere durante lassistenza a un malato terminale
e che non devono essere evitate, pensando che non siano di sua
competenza.
Con domande aperte si può fare in modo che il paziente
prenda coscienza della propria emozionalità e possa trasmetterla
alle persone che gli stanno vicino, o possa esprimere quale
è limmagine che vorrebbe lasciare di sé.
Questi aspetti non riguardano solo la persona morente ma abbracciano
anche il suo sistema familiare, ambito nel quale il medico di
famiglia opera e dove può essere una figura importante
nella gestione del lutto.
Conclusioni
In una realtà lavorativa dove il nostro agire è
svalutato e la burocrazia soffoca ogni entusiasmo, dove la conflittualità
sembra essere la nota dominante nel lavoro quotidiano, lesperienza
del sostegno psicologico nelle malattie terminali può
essere uno degli ambiti dove il medico di famiglia può
ritrovare molto valore nel suo operare e un significato profondo
per la sua attività lavorativa e per la sua esperienza
umana.