M.D.
numero 20, 1 giugno 2005
Rassegna
I fitosteroli nel controllo dell'ipercolesterolemia
di Andrea Poli e Rodolfo Paoletti - Fondazione Italiana per
il Cuore
Gli steroli di origine vegetale determinano una riduzione
del 10% circa della colesterolemia LDL quando assunti alla dose
di 2 grammi al giorno attraverso alimenti supplementati. L'effetto
sulla colesterolemia è additivo a quello di una dieta equilibrata
e del trattamento con statine
Sono
ormai numerosissime le osservazioni epidemiologiche e gli studi
di intervento pubblicati negli ultimi decenni che mostrano da
un lato come il rischio di eventi coronarici (in primis l'infarto
miocardico) aumenti in modo esponenziale al crescere della colesterolemia,
e dall'altro come la riduzione della colesterolemia induca,
per converso, una diminuzione del rischio di incorrere in tali
eventi.
Il livello del colesterolo plasmatico rappresenta quindi non
solo uno dei principali fattori di rischio coronarico, ma anche
uno dei più interessanti obiettivi di intervento della
medicina preventiva in ambito cardiovascolare.
È opportuno sottolineare che la gestione clinica dell'ipercolesterolemia,
sulla base degli studi clinici pubblicati negli ultimi anni,
si è modificata in modo significativo e le principali
linee guida internazionali hanno fissato alcuni criteri generali
di riferimento su cui è opportuno fare qualche riflessione.
Il primo concetto base è l'introduzione, nella valutazione
clinica della colesterolemia di un paziente, della sua probabilità
di incorrere, nel tempo, in un evento coronarico o cardiovascolare:
in altre parole del suo cosiddetto rischio coronarico
o cardiovascolare globale.
Le linee guida più moderne stabiliscono infatti che il
concetto di ipercolesterolemia non sia più
definibile come il semplice superamento di un valore soglia
(per esempio 200 mg/dL), ma dipenda invece dal rischio globale
del paziente.
Un soggetto ad alto rischio con una colesterolemia totale di
195 mg/dL dovrà essere per esempio considerato ipercolesterolemico,
mentre in un soggetto a basso rischio una colesterolemia totale
di 255 mg/dL potrà essere considerata non meritevole
di interventi specifici, al di là di indicazioni di tipo
nutrizionale e di controlli periodici dei valori lipidici nel
tempo.
Il secondo e conseguente concetto è che l'obiettivo
terapeutico cui ricondurre la colesterolemia di differenti soggetti
è variabile, ed è nuovamente funzione del rischio
globale di ciascuno. Al crescere del rischio globale, in particolare,
l'obiettivo (il target terapeutico, come lo
definiscono le linee guida anglosassoni) tende a scendere.
Ma queste indicazioni, basilari per implementare in modo corretto
la strategia di gestione della colesterolemia in singoli individui,
devono essere completate da un approccio del tutto differente:
la cosiddetta strategia di popolazione. Essa recita che diminuzioni
della colesterolemia media della popolazione stessa, anche se
di entità non particolarmente ampia e ottenuta mediante
una miriade di spostamenti delle colesterolemie individuali
verso valori più bassi, qualunque sia il loro valore
di partenza, sono probabilmente lo strumento più efficace
per ridurre il carico globale di malattia coronarica nella società.
Una parte significativa degli eventi, a livello di popolazione,
si osserva infatti in soggetti a rischio individuale non particolarmente
elevato: la prevenzione individuale, condotta seguendo i criteri
prima riassunti, ha per definizione armi spuntate per influenzare
questi eventi.
Nuove opportunità con i fitosteroli
In questo contesto complesso e in rapida evoluzione, nuove opportunità
di trattamento emergono dalla disponibilità di alimenti
arricchiti in fitosteroli.
I fitosteroli (i principali sono il sitosterolo e il campesterolo)
sono presenti, come ricorda il nome, nel mondo vegetale nel
quale, come è noto, il colesterolo è invece virtualmente
assente. Essi sono, sul piano strettamente chimico, molto simili
al colesterolo: in effetti svolgono nelle piante gli stessi
effetti strutturali (essenzialmente a livello delle membrane
cellulari) che il colesterolo svolge nelle cellule animali.
A
livello intestinale i fitosteroli competono con il colesterolo
presente negli alimenti che consumiamo, prendendone il posto
nelle micelle lipidiche che permettono l'assorbimento del
colesterolo stesso e dei grassi, riducendone così l'assorbimento
(figura 1). Essi limitano così l'entrata del colesterolo
nella linfa e il suo trasporto al fegato, dove esso controlla,
mediante vari meccanismi, la sintesi e il rilascio delle lipoproteine
epatiche.
È intuitivo, sulla base di questi meccanismi d'azione,
che l'effetto dei fitosteroli sulla colesterolemia sia
dose-dipendente e che diventi quindi significativo soprattutto
per apporti alimentari elevati.
La maggior parte dei dati raccolti suggerisce che un effetto
clinico discernibile (-10% circa, in termini di riduzione della
colesterolemia LDL) si manifesti per assunzioni giornaliere
di circa 2 grammi (figura 2): un dosaggio difficilmente raggiungibile
consumando alimenti vegetali naturali, nei quali
le concentrazioni di questi composti tendono a essere piuttosto
basse (da alcune decine ad alcune centinaia di milligrammi,
al massimo, per 100 grammi di alimento).
Alimenti
supplementati con fitosteroli, disegnati per fornire l'apporto
ottimale di 2 grammi al giorno, sono stati resi disponibili
da alcuni anni dall'industria alimentare (che tra l'altro
ha giocato un ruolo di notevole rilevanza anche nello studio
della fisiologia e della fisiopatologia delle vie di assorbimento
del colesterolo).
In Italia verrà a breve lanciata
sul mercato una nuova bevanda a base di latte supplementata
in fitosteroli; la matrice utilizzata nel mondo centroeuropeo
e scandinavo (la margarina spalmabile) non ha infatti nel nostro
Paese una significativa tradizione di consumo.
Come si ricordava, i fitosteroli alla dose indicata (in genere
impiegati come esteri di acidi grassi a lunga catena: un processo
che ne aumenta la lipofilia e quindi l'efficacia) sono
in grado di ridurre la colesterolemia LDL del 10% circa.
Un calo che si osserva con piccole oscillazioni in tutti i soggetti
che li assumono e che è indipendente dal livello della
colesterolemia basale, dalla presenza di condizioni patologiche
concomitanti (per esempio la malattia diabetica), dal sesso
e dall'età del soggetto trattato.
Il calo si osserva nell'ambito di due-tre settimane dall'inizio
dell'assunzione, e se l'assunzione stessa è
costante nel tempo si mantiene di fatto inalterato. Esigui sono
invece gli effetti dei fitosteroli sui livelli della trigliceridemia
e della colesterolemia HDL.
Interessante è anche il fatto che la tossicologia di
questi composti sia di fatto muta: al di là
di una modesta riduzione dell'assorbimento dei carotenoidi
(che utilizzano per entrare in circolo le stesse micelle in
cui si incorporano i fitosteroli) e quindi delle loro concentrazioni
plasmatiche (che può essere neutralizzata da un aumento
del consumo di alimenti naturalmente ricchi di questi composti),
non si osserva alcuna modificazione significativa di parametri
biologici di interesse.
Anche il modesto aumento delle concentrazioni plasmatiche di
fitosteroli che si può rilevare (e che raggiungono livelli,
in genere, dell'ordine di circa 2 mg/dL alle dosi di consumo
raccomandate) non è, secondo la grande maggioranza degli
esperti, di alcun rilievo clinico o pratico.
Indicazioni
per la pratica clinica
Come
incorporare un simile strumento nella pratica clinica quotidiana?
Alla luce di quanto discusso in apertura di questo articolo
le opzioni sono potenzialmente numerose.
La prima indicazione è nei soggetti in prevenzione primaria
a rischio cardiovascolare non elevato (inferiore al 20% nei
10 anni successivi secondo le carte del rischio dell'Istituto
Superiore di Sanità), quando la semplice adozione di
una dieta appropriata non riesca a ricondurre il loro profilo
lipidico all'obiettivo terapeutico pertinente (<130
o <160 mg/dL, in termini di colesterolemia LDL, a seconda
dei fattori di rischio concomitanti eventualmente presenti).
È opportuno ricordare da un lato che l'attuale normativa
non permette di somministrare farmaci ipocolesterolemizzanti
in regime di rimborso a questi pazienti, e dall'altro che
l'ottimizzazione dell'intervento nutrizionale, impiegando
una portfolio diet che includeva un'integrazione
di due grammi di fitosteroli, fibra solubile, proteine di soia
e mandorle, ha indotto, in uno studio controllato, una riduzione
della colesterolemia LDL del 35% circa: un risultato di ampiezza
probabilmente inattesa a molti clinici.
La seconda area di possibile impiego è rappresentata
dai soggetti a rischio elevato o molto elevato la cui colesterolemia
totale o LDL, dopo un intervento di correzione nutrizionale,
si collochi 10-15 mg/dL oltre il proprio target terapeutico.
In questi soggetti (spesso in terapie polifarmacologiche) può
essere di interesse poter raggiungere l'obiettivo terapeutico
senza dover appesantire la prescrizione farmacologica con una
statina o con altri ipolipidemizzanti.
Una terza e non trascurabile area di impiego potenziale è
rappresentata dai soggetti in trattamento con statine che non
raggiungano, al dosaggio impiegato, l'obiettivo terapeutico.
In queste condizioni l'opzione classica è l'aumento
del dosaggio della statina stessa (è opportuno ricordare
che ciò comporta un calo aggiuntivo della colesterolemia
LDL del 5-6% per ogni raddoppio del dosaggio stesso). Poiché
l'effetto dei fitosteroli è perfettamente additivo
a quello delle statine (il meccanismo d'azione è
infatti completamente differente), un'opzione alternativa
è rappresentata dal loro impiego in aggiunta alla statina
a dosaggio inalterato (figura 3), che, equivalente alla quadruplicazione
del dosaggio della statina in termini di effetto atteso sulla
colesterolemia LDL, non ne condivide le possibili problematiche
da interazione farmacologica o di altra natura.
Conclusioni
I fitosteroli rappresentano quindi un'arma importante nelle
mani del medico per ottimizzare il controllo della colesterolemia
nei suoi pazienti. Impiegati flessibilmente e con buon senso
clinico, essi permettono di migliorare il raggiungimento del
target terapeutico in una parte importante dei soggetti ad alto
o basso rischio, nel rispetto sia delle indicazioni delle linee
guida internazionali sia della normativa di impiego dei farmaci
(la cosiddetta nota 13) che pone limiti ben noti
al medico all'impiego degli ipolipidemizzanti nel nostro
Paese.