M.D.
numero 20, 1 giugno 2005
Vox
Legis
Se gli errori sono a "catena" ne
rispondono tutti i medici
di Alfonso Marra Magistrato, Milano
La Corte di Cassazione (sezione 4 Penale,
sentenza n. 43210 del 4.2.2004) ha condannato per omicidio colposo
un medico di medicina generale che - chiamato nella notte per
una visita domiciliare dalla figlia di unassistita che
era stata dimessa dallospedale dopo aver effettuato unendoscopia
- non diagnosticò una perforazione esofagea.
La Suprema Corte ha ritenuto processualmente provato che la
morte della donna in seguito alla perforazione esofagea, attribuibile
a una iniziale lesione cagionata da un esame endoscopico dellesofago,
fu determinata dalle complicazioni conseguenti allesecuzione
della procedura.
La Corte ha confermato la precedente sentenza del Giudice di
merito, che ritenne responsabili di omicidio colposo:
il medico che materialmente eseguì lendoscopia;
il medico di medicina generale, che chiamato dalla paziente
dopo lesame diagnostico, non prese in debita considerazione
i sintomi propri della perforazione esofagea;
il medico in servizio presso il dipartimento di endoscopia
digestiva, per aver formulato una diagnosi di ingresso estremamente
generica;
il radiologo, per aver redatto un referto incompleto.
La posizione del Mmg condannato
Al medico di fiducia della donna è stato addebitato di
non avere diagnosticato la perforazione esofagea, nonostante
egli fosse a conoscenza che la paziente era stata sottoposta
allindagine e che fosse affetta da un forte dolore alla
gola e da disfagia.
Per la Cassazione questi sintomi, che lo stesso Mmg aveva ammesso
nel suo interrogatorio di aver riscontrato, costituivano segni
allarmanti.
Inoltre dalla deposizione dei testi era risultato che la donna
presentava anche un consistente gonfiore al collo con tumefazione.
Questi segni clinici avrebbero dovuto indurre il medico, secondo
un doveroso criterio di diligenza, a disporre gli accertamenti
per verificare lipotesi di una lesione dellesofago
o, quanto meno, a invitare la paziente a prendere contatti immediati
con il servizio di endoscopia che aveva eseguito lesame
o con il Pronto Soccorso, senza frapporre indugio alcuno.
Dagli atti risultò anche che il Mmg prescrisse un antispastico
e che consigliò alla paziente di effettuare una visita
presso un otorino nellipotesi in cui il dolore non fosse
diminuito.
Limperizia del Mmg era ancora più evidente in quanto
emerse che la figlia della paziente, che era presente durante
la visita, aveva richiamato la sua attenzione sul gonfiore
al collo senza che egli desse importanza alla strana anomalia,
che evidenziava di certo la presenza di una lesione.
Vi fu da parte del Mmg una sottovalutazione della gravità
dei segnali dallarme lanciati a più riprese dalla
paziente, oltre che dai suoi familiari.
Con specifico riguardo al nesso di causalità tra la condotta
omissiva del Mmg e levento mortale, la Cassazione ha precisato
che secondo la maggioranza degli studiosi il trattamento più
semplice (sutura a drenaggio della perforazione) se molto precoce
avrebbe impedito levento. Nel caso della signora i sintomi
erano comparsi subito dopo lendoscopia, con dolore alla
gola e disfagia, dolore che si era accentuato nella notte.
Il nesso di causalità nelle
condotte omissive
Nellaffermare la sussistenza del nesso di causalità
tra la condotta del medico di medicina generale e levento
mortale, la Suprema Corte ha tenuto presente quanto statuito
dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 32328 del 10.7.2002 in
tema di individuazione del nesso di causalità nelle condotte
omissive: esso sussiste quando cè la certezza processuale,
che se si fosse posto in essere latto omesso (la diagnosi
corretta) levento con certezza processuale non si sarebbe
verificato. Questo indirizzo giurisprudenziale in tema di individuazione
del nesso di causalità è stato ribadito in unaltra
sentenza della Cassazione (sezione Penale IV, sentenza n. 41663
del 26.10.2004), secondo la quale negli eventi collegati a più
errori a catena (il nostro Codice Penale ha accolto
il principio dellequivalenza delle cause), dellevento
ne rispondono tutti gli attori.
Levento può ascriversi alla prestazione dellultimo
attore solo se egli ha interrotto il nesso di causalità
fra la condotta degli altri imputati e levento stesso,
ovvero se la sua condotta sia di per sé idonea a determinare
levento e sia del tutto indipendente dal fatto posto in
essere dagli altri soggetti, ponendosi come conseguenza del
tutto eccezionale, atipica e imprevedibile.
Nel caso illustrato ciò non si è verificato: secondo
la Corte di Cassazione tutti i medici che in un modo o nellaltro
intervennero per assistere e curare la paziente, contribuirono
al verificarsi dellevento mortale.