M.D. numero 20, 1 giugno 2005

Appunti
Gocce del nostro sangue: cronaca di una revoca

Non mi è mai piaciuto commentare o rammentare le tante revoche sopportate in ventisette anni di attività come medico di medicina generale.
Ogni revoca non sostenuta da motivazioni plausibili (lo sono state tutte: cambiavano medico per comodità di vicinanza agli ambulatori oppure perché l’attesa del turno era minore), lasciava in me un senso di impotenza e qualche volta un senso di rabbia che sfociava nella fatidica frase: “forse non mi meritano”.
Ma pochi giorni fa, ritornando a casa, ho trovato nella casella postale una lettera della mia Asl, con l’aggiornamento delle scelte e delle revoche del mese di marzo 2005.

La delusione


Con grande rammarico ho constatato che due persone, marito e moglie, a cui avevo prescritto farmaci e fatto visite fino al giorno prima, mi avevano ricusato già dal 15 marzo.
È stata una grande sorpresa perché nulla aveva intaccato il rapporto di fiducia costruito in tanti anni. In pochi secondi mi sono ritornati alla mente le immagini di 15 anni fa, di quel famoso giorno che in ambulatorio nel fare un elettrocardiogramma al marito avevo diagnosticato un infarto del miocardio in atto, attivando celermente tutte le procedure del caso per un ricovero in UTIC. Inoltre mi ero recato in ospedale a trovare il mio assistito e lo avevo seguito nel follow up post-ricovero fino all’altro giorno.
Era stato un rapporto improntato sulla stima reciproca e sul rispetto dei ruoli anche con la moglie.

La nostra linfa vitale

Non so perché mi è riaffiorato alla mente quel famoso detto napoletano “I figli so' piezz 'e core” e fra me mi sono chiesto: “E il paziente cos’è? ”
Lo dico senza presunzione, è “una goccia del nostro sangue” perché ci dà vita in due momenti importanti:
1. è linfa vitale per la quota capitaria;
2. è la nostra vita professionale, è il nostro dominante psicologico a cui diamo tutto, anche il nostro cuore, la nostra solidarietà, la nostra scienza e coscienza.
Quando ci lascia senza motivo perdiamo una goccia del nostro sangue.

Nicola Dilillo
Medico di medicina generale, Irsina (MT)



I sindacati sanno che i medici sono insoddisfatti?

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che il medico di medicina generale, così come lo abbiamo inteso fino ad oggi, è destinato a scomparire in poco tempo.
Presto avremo non più il medico della persona, ma il medico d’équipe o dell’UTAP, sempre più burocratizzato, attento alle risorse, ai rapporti con i colleghi della struttura in cui sarà inserito, ossessionato dalla correttezza formale delle prescrizioni per evitare sorprese da parte della Guardia di Finanza.
Il paziente potrà rivolgersi a qualunque medico presente in quel momento nella struttura perché la sua cartella clinica sarà a disposizione di tutti i professionisti che vi operano. Tutto ciò con buona pace dei principi del WONCA, citati, ma non si sa con quale coerenza, in Convenzione che recitano: “ (…) la medicina generale (…) si occupa dei problemi di salute nella loro dimensione fisica, psicologica, sociale, culturale ed esistenziale della persona”, ed ancora: “(…) sviluppa un approccio centrato sulla persona, orientato all’individuo (…) si basa su un processo di consultazione unico fondato sulla costruzione di una relazione protratta nel tempo attraverso una efficace comunicazione tra medico e paziente”.

Incongruenze

È evidente che questi principi non possono prescindere da un rapporto esclusivo con il proprio medico che, essendo l’unico ad avere una relazione protratta nel tempo, conosce lo stato di salute del paziente nella sua dimensione fisica, psicologica, culturale ecc.
Ma va anche sottolineato che l’aggregazione sul territorio di “poliambulatori” (équipe, UTAP) è nata anche con lo scopo di ridurre la spesa e gli accessi impropri al Pronto Soccorso. Al riguardo però i dubbi restano tanti. Innanzitutto perché tenendo aperti gli ambulatori 24 h su 24 non si fa altro che incentivare l’idea di consumismo che caratterizza l’odierno bisogno di salute da parte del paziente. Va sottolineato che ciò accade grazie anche ai falsi modelli enfatizzati dalla società e dai mass media.
C’è ormai nei cittadini la pretesa della guarigione a tutti i costi e la convinzione che esista una medicina miracolosa per ogni pur piccolo disturbo.
Con l’apertura degli ambulatori così protratta nel tempo quindi si va nella direzione opposta a quella di governare e inquadrare nella giusta dimensione il bisogno di salute.

Il bisogno di educazione civica

Per ridurre realmente il ricorso improprio al Pronto Soccorso, per esempio dovrebbero essere soddisfatte alcune condizioni, prima fra tutte che il paziente sia messo in grado di comprendere in quali casi è necessario afferire a tale struttura. Cosa difficile da attuare se non si incentivano campagne educazionali che oltre a fornire elementi di cultura medica offrano insegnamenti di cultura civica sul reale esercizio dei diritti e dei doveri. Inoltre le strutture che ospitano le équipe o le UTAP dovrebbero essere attrezzate per le emergenze. Ma, secondo me, ciò è di difficile attuazione perché sarebbero necessarie delle risorse attualmente non disponibili e perché si finirebbe per creare dei “surrogati” di Pronto Soccorso. Si pensi, infatti, al tempo prezioso, spesso vitale, che si rischierebbe di perdere se, in caso di vera emergenza, il paziente dovesse essere prima visto in una struttura e poi rimandato in un’altra.
Queste cose accennate sono solo alcune delle incongruenze presenti nella nuova convenzione della medicina generale. A questo punto dovrebbe essere chiaro per i Mmg che se anche da parecchi anni si insiste sul concetto che il medico di famiglia è e deve essere il centro del Ssn, visti gli attuali fatti questa illusione dovrebbe essere sparita in tutti noi.

Le illusioni perdute

Le ultime Convenzioni, e questa in particolare, ci hanno sempre più caricato di burocrazia, di responsabilità, inquadrandoci in normative economiche che hanno solo gli svantaggi sia di un rapporto dipendente sia di quello libero professionale.
Abbiamo studiato per essere medici, ma dovremo attrezzarci per fare i manager e gli economisti, sottraendo tempo prezioso all’attenzione per i nostri pazienti con i quali il rapporto è destinato a diventare sempre più conflittuale, tenuto conto del fatto che avremo sempre meno libertà di agire secondo scienza e coscienza.
È arrivato il momento che i medici di famiglia prendano atto di questo e si sveglino dal torpore. Cadute le illusioni, cominciamo a fare sentire la nostra voce.
I nostri sindacati tradizionali si sono rivelati non all’altezza della situazione e molti di noi sono delusi.
Anche chi non ha firmato l’ultima Convenzione non può chiamarsi fuori, visto che comunque non ha saputo arginare la deriva in cui si stavano incanalando i medici di famiglia con la firma dei precedenti ACN.
In molte Regioni stanno nascendo dei sindacati alternativi per cercare di dare un indirizzo diverso alla Sanità italiana, segno evidente dell’insoddisfazione ormai sempre più diffusa. Speriamo che questo possa servire anche da monito per i sindacati tradizionali.

Giuseppe Mascellino
Medico di medicina generale
Tavagnacco (UD)