M.D. numero 19, 25 maggio 2005

Riflessioni
Qualità delle cure: difficile da valutare
di Giuseppe Belleri - Medico di medicina generale, Flero (BS)

Prendendo spunto dalle contestazioni mosse allo studio dell¹ISS sulla sopravvivenza dopo intervento di bypass aortocoronarico, si evidenzia quanto sia delicata la valutazione comparata della qualità delle cure, anche quando si considerano parametri certi ed endpoint forti

All’inizo dell’anno l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha diffuso i dati di uno studio triennale, svolto su scala nazionale con la collaborazione di 64 centri cardiochirurgici, pubblici e privati, sulla sopravvivenza a breve termine (30 giorni dall’intervento) dopo bypass aortocoronarico (BPAC). Lo studio ha monitorato 34.310 interventi di BPAC isolato effettuati tra gennaio 2002 e settembre 2004, dai quali è emersa una mortalità media pari al 2.61%, in linea con i dati della letteratura internazionale. Ne è scaturita una graduatoria che vede i centri collocati tra i due estremi di mortalità, vale a dire meno dell’1% (8 centri) e oltre l’8%. Sono stati escluse le strutture con meno di cento interventi in 6 mesi e quelle che avevano “perso” al follow-up più del 5% degli operati. Nella valutazione, a detta dell’ISS, si è tenuto conto “della complessità di ogni singolo evento chirurgico, sono stati inseriti 13 parametri di rischio individuale pre-operatorio come per esempio, il diabete, l’età, la funzionalità ventricolare, la dialisi o l’arteriopatia”.
Nonostante la preventiva condivisione del protocollo e del metodo di analisi della casistica, lo studio BPAC è stato contestato dalla Societa Italiana di Cardiochirurgia (SIC) e dal Collegio dei Professori Universitari di Cardiochirurgia.
Il dissenso è venuto pubblicamente alla luce il 15 aprile quando, sui principali quotidiani nazionali, è comparso un annuncio a pagamento con le contestazioni della SIC che, pur avendo collaborato alla ricerca, denunciava “l’illiceità della gestione dei parametri utilizzati” e una presunta selezione dei pazienti anziani, che in alcune strutture non verrebbero operati per evitare il rischio di un eccesso di mortalità post-operatoria. È ovvio che le reazioni più risentite sono venute dai centri con mortalità più elevata.
I responsabili dei centri d’eccellenza, dal canto loro, hanno sottolineato che la diffusione di graduatorie simili a quelle elaborate dall’ISS è prassi comune all’estero, mentre i metodi statistici utilizzati garantiscono l’affidabilità dei dati.

Una lezione su cui riflettere


Qual è l’insegnamento che scaturisce da questa complessa vicenda?
Come già notava alla fine del 1600 sir William Petty, medico naturalista, economista, uno dei padri della statistica: “Misurare è il primo passo per migliorare”. A questo elementare principio metodologico non si possono sottrarre coloro che intendono valutare la qualità del proprio lavoro per introdurre cambiamenti migliorativi, in relazione per esempio agli esiti delle cure mediche o chirurgiche e dei processi assistenziali. Ai fini però di una corretta valutazione qualitativa un’altra procedura risulta non meno importante della misurazione, ovvero la comparazione e il confronto dei dati scaturiti dalle misurazioni, nel nostro caso i dati di mortalità dopo intervento di BPAC. Infatti nella sua essenza la valutazione, per esempio sulla qualità delle cure, deriva dal confronto tra diverse fonti. Come sottolinea un altro naturalista, l’antropologo inglese Gregory Bateson, l’informazione è il prodotto della differenza che emerge dal raffronto tra i medesimi dati provenienti, per esempio nel nostro caso, dai centri sparsi per la penisola.
Questo confronto può essere di due tipi: temporale interno, qualora siano comparate le stesse informazioni, rilevate in tempi diversi, oppure esterno quando il confronto avviene con altre strutture. Nel gergo manageriale queste operazioni sono definite benchmarking. Tuttavia, affinché il confronto tra i vari centri sia alla pari, e non soggetto a bias statistici, occorre che la casistica affrontata sia omogenea. Infatti performance diverse si possono spiegare con un diverso mix di gravità dei pazienti afferenti: centri con casitica più “difficile” avranno probabilmente una mortalità più elevata rispetto a quanti operano una “selezione” (cream screaming) dei candidati al BPAC, effettuando spesso interventi clinicamente inappropriati su pazienti con basso rischio di base. Proprio per ovviare a tali distorsioni, i ricercatori dell’ISS hanno adottato un metodo statistico (risk adjustement) che tiene conto dei potenziali fattori distorsivi, correlati ai diversi case mix, in grado di influenzare il tasso di sopravvivenza.
Tenendo conto di tale vicenda, risulta quindi evidente che, per esempio, dovranno essere prese con le pinze tutte le iniziative che si propongono di valutare l’appropriatezza delle prescrizioni sulla base di parametri puramente economici, come sono le medie della spesa farmaceutica contenute nei report recapitati periodicamente al Mmg.