M.D. numero 19, 25 maggio 2005

Focus on
Governo clinico: dalla teoria ai dubbi della prassi
di Monica Di Sisto

Un anno fa l’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia aveva preso un appuntamento sul web con tutti i medici italiani per lanciare un concetto innovativo, quello di "governo clinico" che avrebbe dovuto contribuire allo svecchiamento e alla maggiore efficienza del sistema. Da allora il governo clinico è diventato un argomento prioritario di discussione e confronto tra le società scientifiche della medicina italiana.

Per governo clinico, calco sulla definizione anglosassone clinical governance, si intende più comunemente un programma di gestione e miglioramento della qualità e dell’efficienza di un’attività medica. L’ex ministro Sirchia pensava alla clinical governance come a “un piano d’azione triennale, generalmente operato a livello di Dipartimento di una Azienda ospedaliera”, mirato a trattare “nell’ambito di un budget assegnato con ampia facoltà di spesa, il maggior numero possibile di casi e a garantire l’outcome del trattamento”.

I principi del disegno di legge sul governo clinico
L¹ora del governo clinico è scattata con l¹approvazione del disegno di legge sui nuovi ³Principi fondamentali in materia di Servizio sanitario nazionale² del 3 giugno 2004. In questo provvedimento si punta a ³coinvolgere direttamente medici e sanitari nelle scelte strategiche e di governo delle attività sanitarie e ad assicurare maggiore trasparenza ed equità nel sistema di selezione delle risorse professionali mediche e nelle verifiche dei dirigenti sanitari (Š)². Inoltre ³definisce le modalità e attribuisce le responsabilità ai direttori di Dipartimento in materia di governo clinico, riproponendo il Coordinatore Clinico all¹interno del Collegio di Direzione² con la finalità di promuovere nelle aziende sanitarie lo sviluppo del governo clinico e l¹adozione di programmi di miglioramento continuo della qualità e di efficienza delle prestazioni.

Tradurre a pieno il senso di clinical governance è impresa alquanto complicata. Questo concetto ha un significato complesso, nel mondo anglosassone la clinical governance viene definita come “il contesto in cui i servizi sanitari si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dell’assistenza e mantengono elevati livelli di prestazioni, creando un ambiente che favorisce l’espressione dell’eccellenza clinica”. Si tratta quindi di una teoria elaborata per poter garantire un miglioramento continuo della qualità dell’assistenza di cui i servizi sanitari si devono rendere responsabili, secondo regole che hanno come punto di partenza e di arrivo le attività cliniche (M.D. 2005; 1:10-11).
Partendo da questo assunto il governo clinico, nell’accezione italiana è divenuto una formula interessante per poter “monitorare” la risposta qualitativa dell’assistenza sul territorio. La svolta è stata rappresentata dall’approvazione del Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 (DPR 23 maggio 2003) che ha posto il problema di un vero e proprio ripensamento dell’intera organizzazione del Ssn individuando proprio il territorio: “quale punto di forza per l’organizzazione della risposta sanitaria e della integrazione socio sanitaria e per il governo dei percorsi assistenziali, a garanzia dei livelli essenziali e della appropriatezza delle prestazioni”.
Non è un caso, quindi che il concetto di governo clinico, sia indicato come obiettivo chiave in tutti i più recenti documenti di indirizzo, anche per la medicina generale.
È opportuno sottolineare che ciò avviene mentre il dibattito teorico sull’inappropriatezza della definizione di governo clinico, quale espressione della clinical governance anglosassone, è ancora in corso. A tale discussione, si aggiunge quella relativa a come questo concetto possa essere messo correttamente in rapporto alla medicina generale.
La clinical governance, infatti, non a caso è stata tema dominante e dibattuto in recenti congressi nazionali sia delle associazioni sindacali sia delle società scientifiche della medicina generale (per esempio nel congresso nazionale 2004 della Fimmg e in quello della Simg, svoltosi nello stesso anno).

Le citazioni nel nuovo ACN

Sono infatti ben 5 gli articoli della nuova Convenzione per la medicina generale che contemplano esplicitamente il governo clinico. È inserito nella cornice dell’ACN, all’art. 5, tra gli obiettivi di carattere generale del sistema: “Le Regioni e le organizzazioni sindacali - si legge nel testo dell’accordo - concordano la realizzazione di alcuni fondamentali obiettivi quali, alla lettera d), dopo la garanzia dei Lea, la continuità dell’assistenza 24 ore su 24 e il riequilibrio tra ospedale e territorio, c’è: “favorire la assunzione condivisa di responsabilità, da parte dei medici e dei professionisti sanitari che operano nel territorio, nelle scelte di politica sanitaria e di governo clinico, sulla scorta di quanto definito nei diversi livelli della programmazione socio-sanitaria”.
All’art. 6, dove si affronta il tema degli strumenti per il perseguimento degli obiettivi di politica sanitaria indicati nell’ACN, al comma 1 lettera a) troviamo la “realizzazione in ambito distrettuale e territoriale di una rete integrata di servizi finalizzati all'erogazione delle cure primarie al fine di garantire la continuità dell’assistenza, la individuazione e la intercettazione della domanda di salute con la presa in carico dell’utente e il governo dei percorsi sanitari e sociali, in una rigorosa linea di appropriatezza degli interventi e di sostenibilità economica”.
È evidente che la responsabilità del governo clinico sia subordinata anche a un’adeguatezza strutturale di rete e di sistema che condividono Regioni e sindacati e non si possa sostituire con il puro impegno del singolo Mmg. Al punto tale che l’ACN individua come forme organizzative adatte a sostenere l’onere del nuovo ruolo le tanto bistrattate “strutture operative complesse, organizzate dagli stessi professionisti e fondate sul lavoro di gruppo con sede unica”. Le Utap, insomma, cui è attribuita, come nell’originario modello d’Oltremanica, “un ruolo di partecipazione diretta nella definizione dei modelli organizzativi, nell’individuazione dei meccanismi di programmazione e controllo e nella definizione degli obiettivi di budget”.
I Mmg non saranno soli neppure dal punto di vista professionale: all’art. 36, dove si parla degli studi medici, si prevede, inoltre, al comma 10 che “nell'ambito degli accordi regionali possono essere previste le modalità di erogazione di prestazioni medico specialistiche in regime di accreditamento con contratto tra medici di cure primarie, operanti in forma associata, Asl e aziende erogatrici pubbliche e/o private accreditate del medesimo ambito territoriale. La sperimentazione è finalizzata all’integrazione dei vari attori responsabili del governo clinico del soggetto. Lo strumento primario di integrazione riguarda la definizione e l'utilizzo di linee guida diagnostico terapeutiche condivise”.
Anche le organizzazioni sindacali sono investite della responsabilità di sostenere i Mmg al timone di un sotto-sistema, quello del territorio, sempre più complesso: all’art. 7 infatti, dove l’ACN affronta “Ruolo e partecipazione delle organizzazioni sindacali”, ferma restando “la natura convenzionale del rapporto per singolo professionista”, Regioni e sindacati concordano infatti che “la maggiore partecipazione alle scelte di programmazione e gestione, dei Mmg operanti nel territorio comporta un equivalente e contemporaneo aumento di responsabilità nel governo clinico, con particolare riferimento alla garanzia dei livelli di prestazione e la gestione dei budget concordati a livello di territorio”. E un relativo adeguamento del compenso nella parte variabile.

Governo e gestione del rischio

L’enfasi posta sulle architetture strutturali di sostegno all’azione di governance, prima che nell’ACN era già rintracciabile in un documento prodotto nel marzo 2004 sempre dal ministero della Salute e riguardante un’area strategica per la clinical governance: la gestione del rischio.
Il testo “Risk management in Sanità, il problema degli errori”, elaborato dal Dipartimento della qualità - Direzione generale della programmazione sanitaria - si conclude infatti con alcune raccomandazioni:
• individuare un modello organizzativo uniforme per la gestione del rischio clinico;
• elaborare direttive e linee guida per la rilevazione uniforme degli errori e dei rischi di errori nelle strutture sanitarie;
• promuovere eventi di formazione per diffondere la cultura della prevenzione dell’errore;
• promuovere segnalazioni di near misses (…);
• sperimentare, a livello aziendale, metodi e strumenti di segnalazione degli errori, di raccolta e di elaborazione dei dati per ottenere informazioni sulle procedure ad alto rischio, e sulle frequenze degli errori;
• monitorare periodicamente e garantire un feed back informativo;
• avviare la costituzione di un network per la realizzazione di un database nazionale per la raccolta dei dati relativi alla sicurezza dei pazienti, anche al fine di istituire un Osservatorio a livello centrale (…).
Una selezione di interventi e standard organizzativi, disegnati con cura, scelta che, vedremo, caratterizza decisamente l’approccio italiano al tema della governance.

Il nuovo Patto di Stabilità

Un nuovo capitolo verso una definizione sempre più chiara di questo approccio al sistema sanitario lo ha scritto il nuovo Patto di stabilità siglato tra Stato e Regioni lo scorso 23 marzo.
Un patto che ha sancito all’art. 4 lettera g), come condizione per l’erogazione dei fondi aggiuntivi a livello regionale, in coerenza con il modello anglosassone, di “promuovere lo sviluppo e l’implementazione di percorsi diagnostici e terapeutici, sia per il livello di cura ospedaliero, che per quello territoriale, allo scopo di assicurare l’uso appropriato delle risorse sanitarie e garantire l’equilibrio della gestione”.
Questa determinazione è declinata con maggiore precisione all’art. 7, dove si stabilisce che le Regioni, entro il 30 settembre di quest’anno, emanino uno specifico provvedimento che definisca i meccanismi di raccordo tra aziende sanitarie, Mmg e Pls.
Tali modalità dovranno prevedere il coinvolgimento costante e permanente dei Mmg e dei Pls, “per una reale integrazione assistenziale tra cure primarie e cure ospedaliere anche attraverso percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi e la condivisione di interventi di prevenzione e percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi”.
È legittimo chiedersi se prescrivere per legge la predisposizione, a livello regionale, di strutture, o di reti e forme di coordinamento integrato, subordinando a esse anche l’erogazione di parte importante del finanziamento pubblico, è proprio quello che gli inglesi prefigurano come approccio di governance ai percorsi terapeutici. Come anche se è chiaro a qualcuno che cosa veramente significhi governance per la medicina generale.

Il dibattito nella medicina generale

“Tutti parlano della clinical governance, ma sono pochi coloro che, se opportunamente interrogati, sanno darne una convincente e corretta definizione e soprattutto sanno chiarirne il significato in rapporto alla medicina generale. Il governo clinico nella realtà rappresenta il modo naturale attraverso il quale i medici possono gestire correttamente i processi di cura, partecipando all’attività clinica, ma con modalità che rendano tali processi verificabili e pesabili all’interno del quadro economico del sistema. La sintesi tra eccellenza della cura, verificabilità e pesatura dell’attività professionale e coerenza con il finanziamento del servizio, costituisce la clinical governance. Nulla di meno o di più rispetto a ciò che da venti anni noi Mmg stiamo costruendo e studiando. Oggi tuttavia si tratta di passare dalla teoria ai fatti”.
Claudio Cricelli, introducendo il tema al centro dell’ultima convention nazionale della Simg, ha evidenziato, in questo tentativo di definizione, la distanza tra l’approccio istituzionale e quello medico scientifico più aderente al concetto di governance inglese.
Anche la Fimmg ha scelto la clinical governance come tema centrale per il suo ultimo congresso e il segretario Mario Falconi ha evidenziato che “Il governo clinico è riconosciuto come opportunità che consente di garantire interventi multi-professionali condivisi; di gestire la relazione tra i medici specialisti delle strutture erogatrici e quelli delle cure primarie; di tenere monitorati la compliance, l’appropriatezza degli interventi e i costi, riducendo l’eccessiva variabilità dei comportamenti clinici, proponendo percorsi diagnostico-terapeutici, senza subire protocolli rigidi e calati dall’alto.
Il governo clinico si fonda quindi sul confronto costruttivo tra professionisti nel rispetto della deontologia medica e dei ruoli nel sistema sanitario: per il buon esito, le Aziende sanitarie devono garantire il pieno coinvolgimento e integrazione nei processi di cura tra Mmg e medici specialisti, loro consulenti”.
Ma basterà concentrare i professionisti nello stesso luogo, come sta scegliendo il nostro Paese, inchiodarli alle stesse linee guida
o ai medesimi percorsi terapeutici, oppure, infine, responsabilizzarli sui medesimi fondi, per far sì che essi comincino a dialogare costruttivamente tra loro, con le aziende per far crescere il sistema con coerenza negli interessi dei pazienti? In Inghilterra abbiamo capito che non sono di questo avviso.

La via anglosassone
Nel 1998 in Inghilterra si scommise su una First class service, cioè la trasformazione del Ssn d’Oltremanica, il NHS, in un servizio d’eccellenza, fu chiaro fin dai documenti di presentazione che, per ottenere questo risultato, “le organizzazioni del servizio sanitario si devono rendere responsabili del continuo miglioramento della qualità dell’assistenza e mantenere elevati standard di cura, creando un ambiente
che favorisca l’espressione dell’eccellenza clinica nel limite delle risorse disponibili.”
Il termine governance, in questo ambito, non può che fare riferimento alla creazione di un ordine che si può imporre dall’esterno, ma che è il risultato dell’interazione
di una molteplicità di attori che si autogovernano, influenzandosi reciprocamente.
La clinical governance, fuori dall’Italia, è una modalità di gestione dei Servizi Sanitari che attribuisce alla direzione generale anche la qualità clinica dei servizi,
che non interferisce con l’autonomia professionale degli operatori, ma li orienta
e li sostiene perché operino con modalità di valutazione e miglioramento
della qualità professionale.
Al fine di raggiungere questo ambizioso obiettivo generale essa prevede l’implementazione di processi di miglioramento della qualità attraverso alcuni strumenti:
• la promozione dell’efficacia clinica effettiva a tutti i livelli, tramite la diffusione di linee guida EBM orientate;
• la revisione tra pari delle modalità di erogazione dell’assistenza (clinical audit);
• la prevenzione degli errori medici e della malapratica (risk management);
• la formazione continua e l’addestramento degli operatori sanitari (education and training);
• la ricerca clinica, epidemiologica e lo sviluppo di nuove forme organizzative;
• l’apertura alla società e in particolare al contributo degli assistiti
e delle associazioni di malati, al fine di tener conto delle preferenze
e del grado di soddisfazione degli utenti del NHS.
Nel NHS i risultati si verificano con indicatori clinici e finanziari (National Performance Framework), il gradimento dei pazienti con indagini periodiche (National Patient and User Survey), senza dimenticare però le attività ispettive sui servizi che sono condotte dalla Commission for Health Improvement..