M.D. numero 19, 25 maggio 2005

Appunti
Invecchiamento, un processo di non facile definizione

N
on me la sento di sottoscrivere la conclusione dell’articolo pubblicato sugli Annals of Internal Medicine sottolineata dal collega Attanasio (M.D. 2005; 10: 14): “I medici che sono in esercizio da più tempo possono essere a rischio di fornire un servizio di minore qualità”. I dati certi di cui disponiamo contraddicono queste affermazioni e ogni giorno abbiamo innumerevoli prove di illustri medici, liberi dal giogo della pensione, che esercitano brillantemente la loro professione senza un’incidenza di errori superiore a quella che si riscontra nei loro colleghi più giovani.
Non è un caso che la definizione di invecchiamento risulti difficile perché manifestazioni tipiche legate all’età avanzata possono comparire anche in età giovanile.
Un atleta è considerato vecchio a trentacinque anni solo perché il livello delle sue prestazioni attuali non eguaglia quello che anni prima lo avevano reso famoso. Il celebre arbitro di calcio Pierluigi Collina, considerato il migliore del mondo, a quarantacinque anni deve appendere il fischietto al chiodo per raggiunti limiti d’età e ciò mentre da ogni parte ne sono esaltate le rare qualità di equilibrio, intuizione e determinazione.
Col passare degli anni vi è una perdita di neuroni che però non interessa contemporaneamente tutte le aree dell’encefalo, ma solo alcune ben definite, per cui si avranno zone integre e altre compromesse. Per compensazione, i neuroni superstiti sviluppano maggiormente i loro prolungamenti sino a creare una rete che assicura la trasmissione degli stimoli su tutta l’area cerebrale.
Oggi si ritiene che l’invecchiamento sia dovuto in gran misura alle alterazioni biochimiche verificatesi all’interno del neurone, più che alla sua atrofia. Ad ogni modo, il sintomo patognomico è la perdita della memoria e dell’apprendimento ad essa strettamente legata. Quando la memoria comincia a declinare, allora dobbiamo preoccuparci. È un sintomo indicativo ma non il solo, per parlare d’invecchiamento devono essere presenti anche l’età avanzata e il deterioramento fisico. Ma bisogna tenere anche presente che raramente l’età biologica coincide con l’età anagrafica. Si può avere un decadimento fisico e conservare la capacità di apprendimento e memorizzazione per molti anni ancora.
Gli esempi sono numerosi. Mario Luzi, scomparso recentemente, a novant’anni era lucidissimo ed interveniva attivamente a convegni e dibattiti, non disdegnando anche punte polemiche. Papa Wojtyla, pur nella sua estrema sofferenza fisica, ha mantenuto le facoltà mentali. Se poi andiamo dietro nei secoli basterà ricordare Cassiodoro, ministro di quattro re Goti e raffinato autore delle Variae, che a più di novantanni anni scriveva libri per i monaci dell’abbazia Vivarium, da lui fondata dopo la rinuncia a tutte le cariche politiche.
La curva biologica dell’individuo è spesso in anticipo rispetto a quella psicologica e questo è particolarmente vero quando l’uso delle capacità mentali permette al soggetto di svolgere le sue funzioni per parecchi anni ancora dopo che la sua efficienza fisica ha iniziato a declinare.
Vi sono dei test come l’AAMI (Age Associated Memory Impairment) per misurare il grado di deterioramento della memoria, ma si è visto che la compromissione non è di necessità qualitativamente dissimile da quella che si osserva in adulti giovani. E allora? Allora sino a quando, associata all’età, non vi siano anche il decadimento fisico e cognitivo, non si può parlare di invecchiamento.
Da tenere anche presente che, nell’invecchiamento fisiologico, alcune capacità cognitive più che perse sono quiescenti perché non richieste dalla società, il che vuol dire che la perdita della memoria dipende anche dalla mancanza di interessi e motivazioni.
Possiamo quindi affermare che sebbene esista una perdita neuronale con l’avanzamento dell’età, questa rimane limitata a specifiche aree e spesso una proliferazione dendritica tenta di compensare tale situazione.
Questo vuol dire che mentre alcune facoltà vanno perse, altre possono rimanere integre.
Parlare genericamente di vecchiaia non ha senso. “La stessa età di pensionamento - ha affermato il neurologo Salvatore Giaquinto nel suo libro “Il cervello anziano” - non significa l’accertata incapacità dell’individuo a svolgere le sue mansioni in una ben precisa fase della vita, ma è un termine “arbitrario” che permette di liberare posti di lavoro per giovani disoccupati”.
Io aggiungo: arbitrario e privo di riscontri scientifici.

Francesco Giuseppe Romeo
Medico di medicina generale
Firenze



Caro collega ospedaliero ti scrivoŠ

C
aro collega ospedaliero, chiedo la tua cortese attenzione su un aspetto specifico della nostra professione: la richiesta di consulenza specialistica. Sulla mia ricetta Asl c’è sempre, ci puoi giurare, un’indicazione sul dubbio diagnostico che mi spinge a chiedere i tuoi lumi. Me lo impone oltre tutto quella stessa normativa che invita te, specialista di struttura pubblica, a dare risposta scritta al quesito, in busta chiusa. So che le mie richieste hanno scarse probabilità di arrivare fino alla tua scrivania poiché sono trattenute prima dall’addetto ai ticket. E questa è una delle ragioni per cui, il più delle volte, ritengo inutile dilungarmi. Tuttavia, il quesito che sta scritto su queste richieste, benché scarno, è comunque un cenno della volontà del curante di comunicare in qualche modo con te. Certo, quando è necessario non esito a telefonarti - centralini permettendo - o a inviarti una relazione più dettagliata sul caso. Purtroppo, con grande rammarico, sono costretto a riscontrare che il più delle volte non c’è da parte tua alcuna risposta scritta. Il paziente torna da me con l’invito di farsi trascrivere dal “medico di base” terapie e accertamenti supplementari da te ritenuti opportuni, il più delle volte senza un perché. Tu ed io siamo sommersi dalle carte, è vero, ma in tema di prescrizioni di farmaci e accertamenti, vi è un’innegabile differenza di elasticità con cui voi e noi siamo tenuti all’osservanza delle varie regole burocratiche. Questa sorta di divisione in figli e figliastri, voluta dal sistema, può essere testimoniata da qualsiasi medico di famiglia ed è vissuta da molti come una forma di mortificante vassallaggio nei vostri confronti. Capisco, caro Collega, la tua contrarietà nel vederti appioppare compiti impropri. Capisco meno la tua decisione di scaricarli sul Mmg, visto che impropri lo sono anche per lui. E non credere che i medici di famiglia diverrebbero degli sfaccendati se gli venisse risparmiata la trascrizione delle vostre ricette. Anzi, il tempo guadagnato consentirebbe loro di approfondire le visite. D’altra parte, non ignori certo che in caso di inosservanza sul tema in questione, il prezzo da pagare sarebbe per noi medici di famiglia di gran lunga più pesante che per voi.
Un ammalato scontento che non torna da voi specialisti di struttura pubblica pesa niente sulle vostre carriere. Per molti medici di famiglia, invece, l’eventuale revoca significa impotente avvilimento e tentazione di sorvolare sulle regole, ormai viste come sperpero di scelte. Pertanto, chiedo cortesemente, caro Collega, di non fare niente di più di quel che ti compete, vale a dire: di compilare personalmente - come da regolamento - le ricette e le richieste sul ricettario regionale; di avvisare il paziente che non rientra tra gli aventi diritto alla rimborsabilità di un determinato farmaco; di documentare i motivi che ti inducono a consigliare un medicinale per un’indicazione non prevista dalla scheda tecnica; di applicare correttamente le note Aifa; di adempiere con santa rassegnazione alla tua parte di obblighi cartacei, nel rispetto del paziente e della dignità professionale del collega di medicina generale che ha richiesto la tua consulenza.

Salvatore Milito
Medico di medicina generale
Roma