M.D. numero 18, 18 maggio 2005

Appunti
È d’obbligo una svolta di serietà per l’ECM

A
giudicare dalle modalità proposte per l’Educazione Continua in Medicina, gli stessi partecipanti istituzionali al dibattito devono aver perso di vista il problema che con l’ECM si sarebbe dovuto risolvere. È forse il caso di ricordarglielo. La necessità di un’educazione continua obbligatoria nasce con l’obiettivo di mantenere valida nel tempo quella garanzia di qualità dei medici che gli esami universitari (o il loro doppione, l’esame di Stato) conferiscono e che il progredire della scienza e della tecnica rende ormai solo temporanea.
Se questa è la finalità, allora l’ECM potrebbe essere ottenuta in vari modi: per esempio attraverso la frequenza di corsi di aggiornamento organizzati, come i corsi di laurea, dalle università, oppure attraverso studi ed esperienze personali.
In ogni caso però i risultati raggiunti devono essere poi verificati e certificati, esattamente come avviene per la preparazione offerta dal corso di laurea, altrimenti non si può parlare di garanzia e l’ECM rimane solo un inutile e ulteriore sfruttamento dei medici allo scopo di far arricchire i soliti noti.
Ma se si vuole discutere seriamente di garanzie, l’analogia con i corsi di laurea non si ferma qui.
Il contenuto dei corsi di laurea in medicina infatti non varia da Provincia a Provincia e da Asl a Asl ma, pur nel rispetto dell’autonomia delle università, viene fissato a livello statale, ed è anzi ipotizzabile che in un futuro non troppo lontano verrà quanto meno armonizzato a livello europeo. Obiettivo è appunto quello di fornire un livello minimo di preparazione garantito. Se l’ECM deve servire a garantire la continuità di quel livello di qualità di conoscenza, deve avere la stessa uniformità e non può quindi avere contenuti fortemente eterogenei che variano da Provincia a Provincia o da Asl a Asl.

Non solo provider


Approvare eventi ECM a casaccio, sulla base della “serietà” di chi li propone non ha senso. La serietà di chi offre eventi formativi è importante, ma prima ancora deve esserci un progetto formativo a livello come minimo nazionale, con obiettivi precisi e contenuti coerenti con tali obiettivi.
Un esempio potrà forse chiarire il concetto: è sicuramente importante che il mio dentista si mantenga aggiornato nella sua specialità, ma è anche presumibile che lo faccia già nel suo interesse per conto suo. Vogliamo accertarlo comunque? Accertiamolo. Quello che a me preme però è che si mantenga aggiornato anche su certi aspetti della medicina che non sono il pane quotidiano del suo lavoro, che si sono evoluti parecchio da quando lui si è laureato, che possono fare per me la differenza fra la vita e la morte, e che nessuno mi garantisce che lui abbia seguito da vicino a meno che, per l’appunto, non me lo garantisca lo Stato con appositi accertamenti periodici.
Mi riferisco alla farmacologia, all’infettivologia, al supporto avanzato alle funzioni vitali: aspetti fondamentali per l’attività di “tutti” i medici, specialisti o medici di medicina generale che siano.
A me cittadino che pago le tasse non importa proprio nulla che il mio medico di famiglia abbia seguito un corso di aggiornamento sull’approccio multispecialistico al paziente alcolista piuttosto che sulle novità terapeutiche dell’Alzheimer. A me importa che del mio Mmg (come di qualsiasi altro medico) vengano periodicamente verificate le capacità logiche e le conoscenze necessarie per evitare errori diagnostici, prescrittivi e affrontare le emergenze.
Tutto il resto non conta. Il paradosso è che mentre ci sono medici che curano con l’omeopatia, si minacciano sanzioni se altri medici snobbano il corso sulle “Novità in tema di sartani”. Cerchiamo di essere seri!

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)




Una proposta per migliorare l’iter delle esenzioni

N
el lontano 1962 credetti ingenuamente di essermi laureato in Medicina e Chirurgia per svolgere con scienza e coscienza la professione medica.
Con il trascorrere degli anni, per un’accelerazione delle incombenze burocratiche sempre più esasperate, invadenti e coercitive, oggi mio malgrado mi ritrovo a svolgere innanzitutto mansioni di impiegato-burocrate, poi di ragioniere e infine, se le forze mi sorreggono, quelle di medico.
È vero che viviamo nell’era tecnologica, ma la velocità con cui gli “amministrativi della sanità” mutano le incombenze burocratiche che gravano sulle “mani e sulla memoria” dei medici di famiglia ha dell’incredibile. Ecco un semplice esempio: sulla nuova ricetta ottica del Servizio sanitario nazionale non dovremmo più biffare la casella A o R, ma la casella N nel caso che… e qui giù una serie di eccezioni; non si dovrà più apporre la nota a pie’ di prescrizione farmaceutica e firmarla, ma trascriverla nella casella di fianco e non firmarla; le sigle di esenzione da aggiungere non andranno più nella casella a destra, ma nella casella in alto a sinistra e per chi avesse qualche dubbio anche le sigle sono cambiate, circa una quindicina da tenere a mente.
Ma siamo impazziti?
Credo che sia giunto il momento che qualcuno debba pur restituirci la professione medica così vistosamente scippata. Mi chiedo: dov’erano i nostri rappresentanti mentre si faceva largo questo scempio? Erano a bere un caffé mentre i lavori erano ancora in corso? Non sarebbe stato più dignitoso per noi medici di medicina generale rinunciare ai pochi soldi di aumento contrattuale strappati e ottenere invece la deburocratizzazione dell’atto medico?
A tale proposito ho una proposta da fare. Ma per renderla chiara è opportuno che faccia, in qualità di prologo, alcune semplici considerazioni.
Il Mmg da quale fonte deduce il diritto del proprio assistito di poter godere di una esenzione? Guardandolo in faccia? Se gli è simpatico? Se i giorni della settimana sono pari o dispari? Indagando sulla sua consistenza patrimoniale? Dalla qualità degli indumenti che indossa? Dalla tessera di partito? Semplicemente dal foglio di esenzione, rilasciato dagli sportelli Asl all’assistito e da lui custodito, su cui è stampata una o più di quelle maledette sigle che ho ricordato.
Altre domande e altrettante considerazioni. In una qualsivoglia misura interessa al medico di famiglia apporre una di quelle sigle sulla ricetta? Ne ricava un beneficio? Apponendola o non apponendola non deve o deve farsi pagare dal proprio assistito? Niente di tutto ciò. Se ne assume solo la responsabilità, per cui se la sigla risultasse errata, ne risponderebbe di persona risarcendo la Asl.
Interessa sicuramente all’assistito che la ricetta riporti la sigla di esenzione perché solo in base alla propria esenzione saprà se dovrà pagare per intero o parzialmente la quota di ticket dovuta al farmacista e/o specialista convenzionato. Se ne deduce che anche per queste due figure professionali abbia importanza che la ricetta riporti la sigla di esenzione. Solo conoscendo il tipo di esenzione vantato dal paziente, sapranno se richiedere il ticket sul farmaco e/o sulla prestazione specialistica e in quale misura.

Proposta


Dopo i lunghi interrogativi e le dovute risposte, ecco la proposta: l’assistito invece di mostrare al medico di famiglia il foglio di esenzione (medico a cui interessa solo e unicamente la conoscenza delle malattie di chi gli sta di fronte, conoscenza stratificata nella sua mente da anni di frequentazione con il proprio assistito) dovrebbe essere tenuto a mostrarlo al farmacista e/o specialista convenzionato.
L’atto che dovrà compiere il farmacista e/o specialista sarà identico a quello attualmente richiesto ai Mmg: apporre nell’apposita casella una delle sigle di esenzione.
Gli attori interessati: assistito, farmacista e specialista ottempererebbero ad un atto burocratico di esclusivo loro interesse e competenza.

Luciano Curatoli
Medico di medicina generale
Giovinazzo (BA)