Diario
ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia - Cronaca di una
settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile
Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia
Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia, Docente
Scuola di Medicina di Famiglia
Università di Udine
Luned́
Vediamo sempre più spesso grandi
vecchi allettati, assistiti a domicilio.
Quasi sempre si tratta di dementi con sindrome da immobilizzazione,
cateterizzati, incontinenti, in politerapia. Sono persone che
hanno bisogno di assistenza continua, per cui qualcuno deve
essere sempre accanto a loro. Questo compito richiede energie
fisiche, ma comporta anche un grande coinvolgimento emotivo
per i familiari. Si mettono in moto i più vari meccanismi
psicologici; spesso vediamo sensi di colpa, depressioni e rottura
di consolidati equilibri. Il quadro che ci appare quando entriamo
in queste case è quasi costante: una persona, alla fine
della sua esistenza, su di un letto metallico con spondine fornito
dal Sistema sanitario nazionale, posto al centro della stanza,
come un altare; un sacchetto raccoglitore di urine appeso al
letto, pacchi di pannoloni e traverse vicino al muro e, sopra
a un tavolino, uninfinita collezione di scatole di farmaci
e disinfettanti. La stanza è avvolta da un odore particolare,
tipico, un miscuglio di odori di urina, disinfettanti, alcol
e feci. I parenti, come delle vestali in un tempio, sono dedicati
al mantenimento in vita di una fiamma, destinata inevitabilmente
a spegnersi. Entriamo con rispetto in questo tempio e ci inchiniamo
alla sofferenza di chi è assistito e di chi assiste.
Martedì
Il benessere e la possibilità di accesso alle strutture
sanitarie da parte di tutti hanno certamente contribuito in
modo eccezionale al prolungamento della vita media. In questi
ultimi decenni, il concetto di prevenzione è entrato
nel modo di pensare e agire dei sistemi di cura, dei singoli
medici e infermieri e dei pazienti stessi.
Oggi ci siamo soffermati su questo aspetto della nostra professione
e ci siamo resi conto, ancora una volta, che il fulcro reale
della prevenzione è la medicina di famiglia. Laccesso
alle cure, le possibilità terapeutiche e diagnostiche,
così come le conoscenze scientifiche, sono solo degli
strumenti della prevenzione. La prevenzione esiste e funziona
solo se esiste una particolare disciplina: la nostra. Sta proprio
nella continuità assistenziale (la cura da parte degli
stessi professionisti) il vero segreto. Siamo sicuri che non
si fa prevenzione su popolazioni per allungare la vita dei singoli,
ma si fa prevenzione sul singolo per allungare la vita alle
popolazioni. Le abitudini e gli stili di vita, la cura delle
malattie croniche e la diagnosi precoce si può fare solo
agendo sulla singola persona.
Questo si ottiene con un rapporto di fiducia e con la conoscenza
della famiglia e dellambiente di ogni uomo o donna. Si
ottiene con un rapporto continuo e intimo che possa incidere
sulla sfera psicologica. Si ottiene con una diffusione capillare
sul territorio e con lapplicazione quotidiana, su larghissima
scala, delle conoscenze specialistiche, da parte di medici e
infermieri preparati. È un lavoro continuo, costante
e difficile, noi ce ne rendiamo conto ogni giorno.
Mercoledì
La solitudine è una condizione che riguarda una parte
sempre più ampia dei nostri assistiti. Sempre più
spesso sono le fasce più deboli a esserne interessate.
Ad essa, talvolta vi si accompagna la povertà. E quando
vi si associa anche una patologia psichiatrica, ci si accorge
che il vuoto è tangibile poiché mancano le strutture
in grado di dare risposte concrete al disagio e alla sofferenza
di queste persone. Oggi la denuncia arriva da un nostro paziente
di 53 anni, che dal 1992 ha iniziato a manifestare i primi sintomi
di psicosi schizofrenica. Da allora è stato un lento
peggiorare: ora è inabile al lavoro, fa terapia neurolettica
depot ed è isolato dai fratelli. Questi ultimi, a suo
dire, hanno un grande pregiudizio, per quanto riguarda la malattia
mentale. Ne hanno paura, la percepiscono ancora come una colpa
infamante.
Aldo è un omone gentile a cui piace dialogare con discrezione,
che non accetta la solitudine obbligata. I vari centri di volontariato
e di aiuto per persone coi suoi stessi problemi, non sembrano
rispondere alla sua esigenza di sentirsi comunque considerato
normale. Ogni volta che viene da noi per la prescrizione dei
farmaci, non sa se avrà il denaro sufficiente per procurarseli.
Ci confida così la sua umiliazione per non essere in
grado di provvedere a se stesso, per la difficoltà che
ha nel soddisfare le necessità di base. Si lamenta perché
le strutture esistenti per le persone come lui non aiutano né
a socializzare né a vivere dignitosamente nonostante
questa patologia. Anche noi, tutto sommato, siamo impotenti
di fronte a questo grave problema.
Giovedì
Anche oggi un paziente cambierà medico perché
ci siamo rifiutati di certificare una malattia inesistente.
È desolante verificare come per una parte della popolazione
il medico di famiglia sia soltanto una figura cui chiedere qualsiasi
cosa, chiedere tutto ciò che è possibile ottenere
da un sistema da sfruttare.
Per questa parte di popolazione non siamo dei professionisti,
ma dei fornitori di servizi a domanda. Non possiamo mettere
in discussione richieste che riteniamo inutili o, peggio, immorali.
Assistiamo quotidianamente a richieste di prestazioni e certificazioni
che servono soltanto a ottenere il massimo rimborso da una compagnia
assicurativa o, impotenti, dobbiamo lottare contro pretese di
cure riabilitative, le più varie, per famiglie intere.
Oggi la moglie di un nostro assistito, affetto purtroppo da
una neoplasia in fase avanzata, ci è venuta a chiedere
dei farmaci analgesici maggiori. Non aveva trovato il medico
di riferimento in oncologia e alla nostra richiesta di avere
informazioni sullo stato della malattia, di conoscere il risultato
degli ultimi accertamenti e la terapia in atto, ci ha detto
che non ha né tempo né voglia di mostrarceli.
Per molte persone la medicina di famiglia non ha la dignità
delle altre specialità e viene percepita come una medicina
di seconda serie.
Abbiamo le nostre colpe, ma crediamo anche che siano in molti
ad avere interesse che la percezione della gente rimanga di
questo tipo.
Venerdì
Ci ha telefonato la moglie di Gianni per raccontarci quanto
è successo. Stamane abbiamo deciso di passare allinsulina
per curare il diabete di suo marito. Gli antidiabetici orali
non erano più sufficienti, per cui abbiamo spiegato a
Gianni il motivo della nostra scelta terapeutica, gli abbiamo
consegnato un glucometro, gli abbiamo insegnato a usarlo e gli
abbiamo insegnato ad autosomministrarsi linsulina. Ci
sembrava che tutto fosse andato liscio e che il paziente avesse
compreso e condiviso i motivi di quanto avevamo deciso di fare.
Quando è arrivato a casa, come un bambino, ha buttato
tutto sulla tavola ed è fuggito, scappato per i campi.
La moglie è andato a recuperarlo, come una mamma, dopo
qualche ora.
La via di somministrazione di una terapia è importante
per la percezione di malattia: se la terapia è iniettiva
la malattia deve essere più importante di quella che
si cura con pillole o uno sciroppo. Gianni non credeva di essere
ammalato, fino ad oggi.
Sabato
Rosa ha una pressione arteriosa non compensata da più
di tre mesi, nonostante la politerapia. Ha eseguito gli esami
di routine, abbiamo dosato elettroliti e ormoni, ma siamo al
punto di partenza. Abbiamo deciso che probabilmente la cosa
migliore era quella di ricoverarla nel sospetto di unipertensione
secondaria da accertare.
Ma nessuna struttura ha accettato il ricovero e la paziente
è stata affidata a un ambulatorio per lipertensione.
Ovviamente, la collega che segue la signora ha le stesse armi
terapeutiche che abbiamo noi; il problema persiste e la pressione
non è assolutamente compensata. Quando ci sono le crisi
ipertensive, tachicardia, ansia, senso di soffocamento, Rosa
si rivolge a noi. Si lamenta perché neanche la specialista,
pur avendole assicurato il risultato della terapia stabilita,
dicendo: questa pressione deve scendere, è
riuscita a stabilizzare la sua pressione. È una situazione
che si ripete spesso, succede per i diabetici che vengono affidati
ai centri, per le donne in menopausa o per i cardiopatici seguiti
a loro volta da specialisti. Viene fatto intendere che una patologia
cronica possa essere seguita meglio da uno specialista. Ma non
è così, la specialistica deve rimanere tale e
non dovrebbe fare medicina di primo livello. Lo specialista
dovrebbe essere sempre consulente del medico curante e non del
paziente. Quando non è così, si creano grossi
problemi di gestione; la figura del medico di famiglia viene
screditata, ma soprattutto si crea disorientamento nel paziente
che non capisce più chi sia il referente per la sua malattia.
Rosa si rivolge a noi, ma ha già fissato un appuntamento
per il prossimo controllo presso lambulatorio per lipertensione.
Ma tra un appuntamento e laltro chi si fa carico di lei?
Se dobbiamo farcene carico noi è ovvio che possiamo farcene
carico sempre. Ma Rosa ora è in grado di decidere chi
la deve curare?