M.D. numero 15, 27 aprile 2005

Trial
Benefici della riduzione del peso corporeo sul rischio cardiovascolare

Una riduzione del numero di fattori di rischio presenti nei pazienti affetti da sindrome metabolica, in particolare dell’eccesso ponderale, può determinare una sostanziale riduzione del rischio cardiovascolare

O
besità, diabete di tipo 2 e sindrome metabolica sono patologie multifattoriali caratterizzate da una spiccata eterogeneità. La sindrome metabolica infatti, stando alla definizione ormai universalmente accettata, vale a dire quella proposta dal National Cholesterol Education Program (NCEP), consta della presenza, in uno stesso paziente, di almeno tre delle seguenti 5 caratteristiche: obesità addominale, indicata da una circonferenza della vita >102 cm nell’uomo e >88 cm nella donna, ipertrigliceridemia (>150 mg/dL), basse HDL (<40 mg/dL nell’uomo e <50 mg/dL nella donna), ipertensione arteriosa (>130/80 mmHg) ed elevati valori glicemici a digiuno (>110 mg/dL).
Recentemente il Third National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) ha riportato la prevalenza della sindrome metabolica nella popolazione adulta statunitense, evidenziando un aumento della prevalenza al crescere dell’età, con la maggiore presenza di malattia nella popolazione di età fra 60 e 69 anni (figura 1) (Ford et al, JAMA 2002; 287: 356-59).

Sindrome metabolicae rischio cardiovascolare


La presenza di sindrome metabolica è associata a un preoccupante aumento del rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare, in maniera indipendente dalla presenza di patologie cardiovascolari clinicamente evidenti e/o di diabete mellito. È stata inoltre dimostrata una correlazione lineare tra il numero di fattori associati alla sindrome metabolica e la mortalità cardiovascolare: nei soggetti che presentano 4-5 fattori di rischio il rischio di soffrire di un evento cardiovascolare risulta essere 5 volte superiore a quello che caratterizza pazienti che presentano un fattore soltanto. La valutazione del peso associato ad ogni singolo parametro ha fatto rilevare che l’anomalia maggiormente rappresentata è l’obesità (38.6%), seguita da bassi livelli di C-HDL (37.1%), ipertensione (34%), ipertrigliceridemia (30%) e anomalie glicemiche (12.6%).
L’obesità centrale rappresenta un notevole fattore di rischio per lo sviluppo di resistenza insulinica, ipertensione, iperlipidemia e aterogenesi. Il tessuto adiposo addominale rilascia una varietà di adipocitochine (leptina, resistina, adiponectina) che sembrerebbero implicate nella patogenesi della resistenza insulinica e dell’aterosclerosi. Una produzione bilanciata di adipocitochine gioca un ruolo importante nel mantenimento dell’omeostasi del glucosio e del metabolismo lipidico. Una produzione non equilibrata di adipocitochine sembra essere direttamente coinvolta nella fisiopatologia della sindrome metabolica.
La riduzione del peso determina un miglioramento o addirittura l’eliminazione delle comorbilità associate all’eccesso ponderale. Una perdita di peso del 5% da dimostrato di ridurre i rischi della malattia e i benefici in termini metabolici sono associati all’entità della perdita di peso.
Se ne deduce che nei pazienti con sindrome metabolica una scelta terapeutica ottimale dovrà concentrare gli interventi proprio su questi obiettivi. Per quanto riguarda il controllo del peso hanno indubbiamente un ruolo di primaria importanza gli interventi dietetici e un idoneo programma di attività fisica, ma va tenuto conto che in una consistente percentuale di pazienti tali misure da sole sono insufficienti a raggiungere, ma soprattutto a mantenere, il calo ponderale. è dimostrato che quando il programma dietetico viene associato ad un adeguato trattamento farmacologico, per esempio con un inibitore della lipasi intestinale (orlistat), è possibile ottenere una perdita di peso e un miglioramento dei fattori di rischio significativamente superiori alla sola dieta ipocalorica in molti pazienti obesi ad alto rischio di eventi coronarici.

Lo studio ORLICARDIA


L’impiego di orlistat è stato ulteriormente valutato nello studio multicentrico randomizzato ORLICARDIA, a cui hanno partecipato 126 uomini e donne, di età compresa fra 30-72 anni, con diabete di tipo 2 in trattamento con antidiabetici orali e che presentavano sindrome metabolica secondo i criteri di cui sopra (Didangelos et al, Curr Med Res Opin 2004; 20: 1393-1401). Nel corso dei 2 anni di studio previsti i pazienti sono stati sottoposti a dieta ipocalorica (circa 1300 cal/die), stabilita da uno specialista nutrizionista, abbinata o meno all’assunzione di orlistat (120 mg tid). Gli outcome primari erano le modificazioni del peso corporeo, della circonferenza addominale, della glicemia e dell’insulinemia a digiuno, del profilo lipidico, dell’indice di valutazione della resistenza insulinica (HOMA) e dell’emoglobina glicata (HbA1c).

Dopo sei mesi di trattamento, i pazienti che assumevano orlistat avevano una perdita di peso significativamente superiore a quella rilevata solo con regime dietetico (rispettivamente -6% e -2.5%, p<0.0001); inoltre con orlistat un numero significativamente più elevato di pazienti ha mantenuto una perdita di peso superiore al 5% (67% vs 19% della dieta ipocalorica, p<0.0001). Il cambiamento medio della circonferenza addominale era significativamente maggiore nel gruppo trattato con orlistat rispetto a quello del gruppo in regime ipocalorico (-7.2% vs -2.3%, p<0.0001) (figura 2).
Orlistat era inoltre associato a miglioramenti significativi anche per quanto riguarda i livelli di trigliceridi (-11.2% vs -0.9%, p<0.0001), colesterolo LDL (-13.7% vs -2.1%, p<0.0001), glicemia a digiuno (-24.5% vs -1.2%, p<0.0001), HbA1c (-19.8% vs -10.3%, p<0.0001) (figura 3).
Al termine del trial il 91% dei pazienti che avevano seguito la dieta ipocalorica era ancora da considerarsi affetto da sindrome metabolica (il 53% presentava 4-5 fattori), mentre nel gruppo che aveva assunto anche orlistat le percentuali erano significativamente più basse: 65% per la sindrome metabolica (p<0.0001) e 41% per la presentazione di 4-5 fattori (p=0.0173).
Un altro dato significativo è che nel gruppo orlistat si è osservata una riduzione significativa del rischio di eventi cardiovascolari stimati a 10 anni: -50% vs -4.5% (p<0.0001).
Complessivamente, orlistat ha presentato un profilo di sicurezza simile a quello della sola dieta, ad eccezione di una maggiore incidenza di eventi gastrointestinali, generalmente lievi e transitori, tipicamente associati al meccanismo d’azione del farmaco.
Poiché quanto maggiore è il numero di fattori associati alla sindrome metabolica tanto maggiore è il rischio cardiovascolare, un controllo efficace della malattia in termini di riduzione del numero di fattori correlati, analogo a quello che si è osservato nello studio ORLICARDIA, potrebbe determinare una sostanziale riduzione del rischio cardiovascolare.