M.D. numero 15, 27 aprile 2005

Professione
Natura del rapporto di lavoro del medico convenzionato
di Mauro Marin - Medico di medicina generale, Pordenone

Un chiarimento sui riferimenti normativi che ne definiscono i doveri e i compiti risulta necessario in un momento topico per questa categoria di professionisti

I compiti attribuibili al medico convenzionato negli accordi collettivi devono essere appropriati alla natura giuridica del rapporto di lavoro autonomo. Se a livello politico si conferma tale ruolo, al medico non si devono poi imporre incoerentemente doveri propri del rapporto di lavoro subordinato, in quanto ciò può configurare un’evasione contributiva fiscale e previdenziale da parte del datore di lavoro e la violazione di leggi in merito ai diritti inderogabili del lavoratore subordinato di fatto.
Ciò sarebbe contrario a imperative disposizioni di legge che non possono essere disattese da un semplice regolamento contrattuale secondo l’art. 4 CC delle fonti del diritto e pertanto sarebbe contrario ai principi di buona amministrazione sanciti dal codice di comportamento dei pubblici dipendenti e dall’art. 97 della Costituzione.
Il lavoro del medico convenzionato, definito autonomo, in realtà risulta soggetto a istituti propri del lavoro subordinato gravanti impropriamente tutti sul medico, il potere disciplinare dell’Asl (art. 30 nuovo ACN) e il potere direttivo dell’Asl, per cui il medico deve sottostare a impropri doveri di subordinazione e vincoli non già concordati negli accordi collettivi quali successivi regolamenti. A ciò si aggiungono progetti obiettivi, circolari impositive di obblighi aggiuntivi, modalità di lavoro successivamente normate non più da un contratto collettivo, ma da circolari aziendali e regionali, reperibilità telefoniche in forza di progetti aziendali, imposizioni ulteriori e verifiche dei dirigenti Asl con pene fino alla revoca della convenzione mediante procedimento disciplinare (art. 7, comma 2, nuovo ACN), inserimenti di fatto nell’organizzazione aziendale per l’ADI, l’UTAP e la partecipazione ad aggiornamenti obbligatori e riunioni fuori orario di servizio e non retribuite.
Tenuto conto di ciò che si chiede, come si conciliano con la definizione di lavoro autonomo i vincoli propri della subordinazione posti al medico convenzionato nell’accordo collettivo? Non sono sufficienti per aver diritto anche ai benefici della subordinazione oppure all’autonomia effettiva della para-subordinazione?
Alla luce dei dettati legislativi, ai Tribunali Amministrativi Regionali spetterà chiarire le ambiguità dell’attuale normativa.

Tipizzazioni di rapporto di lavoro


Ai sensi degli artt. 2094 e 2086 CC, presta lavoro subordinato chi si obbliga a lavorare retribuito alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro, secondo la sentenza n. 11182/2000 della Cassazione.
Il requisito della subordinazione è rappresentato dalla collaborazione in regime di assoggettamento del lavoratore alle direttive, alla vigilanza e al controllo del datore di lavoro o in sua vece di altri prestatori di lavoro gerarchicamente sovraordinati nell’organizzazione aziendale.
La prestazione di lavoro nel rapporto subordinato ha inoltre carattere personale, mentre invece nel contratto di lavoro autonomo il lavoro è solo prevalentemente proprio del prestatore ed è caratterizzato dall’assenza di un vincolo di subordinazione da parte del committente (art. 2222 CC).
Nel lavoro autonomo è esclusa quindi la soggezione del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, ma si prevede solo l’obbligo contrattuale di esecuzione corretta della prestazione concordata.
La stessa Cassazione Penale sez. IV con sentenza n. 44326 del 16 aprile 2003 afferma che l’Asl non ha alcuna corresponsabilità civile nel danno causato dal medico convenzionato ai pazienti poiché il rapporto tra medico convenzionato e assistito del Ssn è improntato alla libera attività professionale. Il potere dell’Asl di controllo sul contenuto dell’attività terapeutica svolta è definito “inesistente”, non sussistendo un rapporto di servizio come nel pubblico impiego, con la conseguenza che eventuali danni derivanti sono cagionati nell’ambito di un “rapporto professionale sul quale l’Azienda non può interferire”.
Il lavoro para-subordinato è definito dall’art. 409 CPC come collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato, secondo la sentenza n. 14722 del 30 dicembre 1999 della Cassazione. Afferiscono al lavoro para-subordinato tutti i rapporti aventi a oggetto prestazioni riconducibili al lavoro autonomo, secondo la sentenza n. 4152 del 4 aprile 1992 pubblicata in Foro It Rep 1992, n. 67. Quello del medico convenzionato è definito proprio lavoro para-subordinato, già secondo l’art. 1 del DPR 270/2000 e la sentenza n. 2131 del 2 marzo 1987 della Cassazione a Sezioni Unite. Secondo la decisione della Quarta sezione del Consiglio di Stato n. 5176/2004, il rapporto di lavoro tra medico convenzionato e Ssn si inquadra come lavoro para-subordinato, giuridicamente caratterizzato da una collaborazione coordinata e continuativa regolata dal diritto privato, per cui eventuali controversie sono di competenza del giudice ordinario, salvo nella fase di formazione dell’accordo collettivo che resta di competenza del giudice amministrativo (TAR).

Le relazioni con la Asl


Il medico convenzionato è dunque un libero professionista incaricato di un pubblico servizio, svolto come lavoro autonomo in base ad un contratto collettivo con la pubblica amministrazione stipulato ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 502/92 e sue modifiche successive (D.Lgs n. 517/1993 e n. 229/1999).
Secondo la Cassazione a Sezioni Unite, i rapporti tra Asl e medico convenzionato sono disciplinati da un contratto di diritto privato (sentenza n. 16219/2001) per cui la Asl non può esercitare alcun potere autoritativo sul medico convenzionato all’infuori di quello di sorveglianza (sentenza n. 813/1999).

Il lavoro effettivo ne definisce la tipologia


Nell’esame della natura giuridica del rapporto di lavoro sono rilevanti gli elementi sostanziali esecutivi del lavoro rispetto alla nominale qualificazione del tipo di lavoro data dai contraenti, secondo la sentenza n. 16805 del 27 novembre 2002 e n. 3603 del 7 aprile 1998 della Cassazione. A fronte della manifestata volontà negoziale delle parti di escludere la subordinazione, si deve verificare se ricorre un conforme comportamento da parte delle stesse, secondo la sentenza n. 11229 del 23 ottobre 1991, pubblicata in Dir Prat Lav 1991; 3135-6.
L’elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è costituito dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nella organizzazione aziendale, mentre altri elementi quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario di lavoro e la forma della retribuzione assumono natura sussidiaria e non decisiva per la configurazione del tipo di rapporto di lavoro, secondo la sentenza n. 4682 del 2 aprile 2002 della Cassazione e la sentenza n. 13018 del 23 ottobre 2001 della Cassazione Civile sez. lavoro.
Nel 2005 il Consiglio di Stato ha affermato che la reperibilità va retribuita (n. 337/2005) e che essa costituisce condizione sufficiente per definire subordinato il rapporto di lavoro.
La qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo deve incentrarsi sulla verifica dell’assenza dell’organizzazione imprenditoriale e sull’assoggettamento al potere gerarchico del datore di lavoro, mentre invece una serie di altri elementi quali l’osservanza di un orario di lavoro e la cadenza fissa della retribuzione assumono natura sussidiaria e non decisiva, secondo la sentenza n. 9900 del 20 luglio 2003 della Cassazione.
Un rapporto di lavoro subordinato può essere sostituito da uno di lavoro autonomo solo se il concorde mutamento del regime giuridico si accompagna ad un effettivo mutamento dello svolgimento delle prestazioni lavorative come conseguenza del venir meno del vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, secondo la sentenza n. 7310 del 20 maggio 2002 della Cassazione.
Va rilevato che qualificare come autonomo un lavoro che invece presenta di fatto tutti i caratteri del lavoro subordinato appare come un atto contrario ai doveri d’ufficio, se commesso da pubblici ufficiali, in quanto elude inderogabili obblighi fiscali e contributivi e diritti imperativi del lavoratore, tutelati costituzionalmente, come ad esempio quello delle ferie retribuite sancito dal D.Lgs. n. 66 del 8 aprile 2003.