M.D. numero 15, 27 aprile 2005

Appunti
A proposito della proposta di Prosperini

La proposta di legge del collega Pier Gianni Prosperini (M.D. 2005; 5: 4-6) sia in qualità di medico, sia in qualità di Consigliere regionale della Lombardia, appare sicuramente curiosa. Innanzitutto per il momento in cui è stata presentata: “a fine 2004”, come documentano i colleghi Botta, Brocchieri, Donati e Sferrazza. È noto a chi ha marciato almeno ai margini delle assemblee rappresentative (o, come me, al loro interno) che un progetto di legge (o proposta di legge, ai vari livelli) richiede un iter fisiologico: deposito della proposta; attribuzione alla commissione competente; assegnazione di un relatore; analisi dell’articolato; votazione per articoli; votazione dell’insieme della proposta; passaggio all’attenzione dell’assemblea; decisione dei Capi Gruppo di porla all’Ordine del giorno dell’assemblea; voto dell’articolato; voto del testo. Salvo proposte marginali, o assolutamente “blindate” dalla maggioranza, o così semplici da vedere l’accordo di ogni parte politica, qualsiasi progetto di legge (PdL nel linguaggio regionale) richiede 8-12 mesi per passare all’aula.
Un PdL proposto a fine 2004, cade di necessità per la fine fisiologica della legislatura. Resta il sospetto che si sia trattato solo di un coup d’éclat per una captatio consensus pochi mesi prima delle elezioni regionali.
Il collega Prosperini ha fatto bene a giocare con la politica; spiace che alcuni pur bravi colleghi siano caduti in un gioco che, forse, è loro estraneo.
Se poi entriamo nell’analisi del testo le riserve diventano ancora maggiori: la proposta suggerisce che il medico di famiglia può/deve esercitare il proprio potere prescrittivo per incrementare la propria reddittività; limitando le “prescrizioni improprie” e svolgendo analisi di laboratorio ed esami strumentali.
Resta qualche dubbio sul medico capace di autolimitare le analisi autoindotte, sulle quali lucra, esercitando un “filtro diagnostico (...) severo e competente”; ma ancor di più restano sovrani dubbi sul ruolo del medico di medicina generale. Secondo i colleghi, noi transitiamo verso un medico “imprenditore”, che si appropria di esami anche specialistici, svolge analisi di laboratorio complesse (e pensiamo solo ad un tampone tonsillare, con coltura, antibiogramma) per le quali è richiesta attrezzatura ben codificata e riservata a mani specialistiche.
È un’ipotesi, ma di portata tale che non basta una PdL a realizzarla.
Però, in questo momento nel quale, anche come CIDIMEF (Coordinamento Nazionale dei Medici per la Difesa del Ssn), stiamo avviando una riflessione globale sul medico di famiglia e ci rendiamo conto che l’imprenditoria e la professione sono divise da un fossato (eticamente) incolmabile, prendiamo la proposta di Prosperini nel suo giusto valore: un pugno di concetti destinati ad épater la bourgeoisie. Invece di rincorrere vantaggi marginali, per qualche élite, come del resto la convenzione vorrebbe, stiamo lavorando per ridare dignità ad ogni serio medico di famiglia, che sul suo lavoro e sulla fiducia dei pazienti ha costruito in questi anni un’immagine di serietà altamente gradita ai pazienti.
La stessa immagine che si vorrebbe vedere distrutta per implementare la spesa sanitaria nazionale con la creazione di grupponi totipotenti, nei quali il medico è stritolato senza alcuna garanzia: addirittura la commissione arbitrale che lo giudicherà non vede nemmeno un proprio arbitro, ed è comunque già sbilanciata a priori dalla massiccia presenza Asl più avvocato. Ed è triste che i sindacati firmatari si augurino che le équipes non siano applicate ovunque.
Come è stato spiacevole sentire Ernesto Mola, capo-delegazione di Federazione Medici, che spiega l’accordo collettivo nazionale dichiarando: “È l’accordo delle potenzialità”. Se la frase è confusa, forse più confuso appare il ragionamento che ha condotto alla firma della convenzione: ogni contratto di lavoro non sogna potenzialità, ma tutela nel concreto dei lavoratori. Perciò ne consegue che questo ACN ha fallito il suo scopo.

Maurizio Bruni
Medico di medicina generale, Milano
Coordinatore nazionale CIDIMEF


UNA PROTESTA E UN POSSIBILE RIMEDIO
Colpito da Cuffite o ³Aifite² (che dir si voglia)
Sono stato ricusato da un paziente per essermi rifiutato di prescrivere un farmaco attenendomi alle note AIFA. Questo evento mi ha portato a riflettere e pormi
delle domande, aspettandomi, da chi di competenza (organizzazioni sindacali,
Ordine dei Medici, ministero della Salute), le relative risposte.
Domande: “A chi devo rivolgermi per ottenere il risarcimento per la perdita subita”?
“Come devo comportarmi con altri pazienti che pretenderanno prestazioni con note AIFA, senza averne diritto, perché prescritta alla dimissione ospedaliera o dallo specialista dipendente convenzionato o libero professionista che sia”? Non si può pretendere che l’applicazione delle note siano solo ed esclusivamente a carico dei medici di famiglia, con i conseguenti danni morali e materiali che ne derivano.
La mia proposta e protesta a questo punto è di prescrivere i farmaci con note sul ricettario personale e che il dirigente del Distretto controlli l’appropriatezza della prescrizione
e trascriva, poi, sul ricettario regionale. A meno che gli esperti e competenti addetti
ai lavori del ministero non trovino altre soluzioni, ovviamente senza penalizzare il medico di medicina generale, che viene limitato nello svolgimento della attività professionale
e il paziente, che deve pagare di tasca propria l’onere del farmaco negato.

Francesco A. G. Fazio
Medico di medicina generale, San Donaci (BR)



Nuova ricetta e vecchie contraddizioni

Di rinvio in rinvio, il nuovo ricettario del Ssn stenta a decollare. In effetti, rispetto al modello precedente, questo ricettario rappresenta un’evoluzione, però nella direzione sbagliata. La “ricetta” è semplicemente una comunicazione che il medico fa al farmacista in merito a ciò che quest’ultimo deve consegnare al paziente. Se e come il paziente paga, è una questione fra il paziente e il farmacista. Quando il paziente trasferisce l’onere del pagamento al suo assicuratore, pubblico o privato che sia, ancora una volta la questione non riguarda il medico, che non può servire due padroni con interessi contrastanti (il paziente e l’assicuratore). Deve essere l’assicuratore a verificare, a sue spese e con professionisti non legati al paziente, se il pagamento del farmaco prescritto può essere trasferito o meno a suo carico, secondo le norme della polizza sottoscritta dal paziente. E, quando l’assicuratore è il Ssn, per “polizza” si intende chiaramente l’insieme di leggi e decreti che precisano gli oneri a carico dell’Ssn e che il paziente “sottoscrive” per il solo fatto di continuare ad essere residente in Italia.Il nuovo ricettario del Ssn avrebbe potuto eliminare, per esempio, le caselline dedicate alle esenzioni, ma non lo ha fatto: anzi, le ha messe in maggior evidenza. Se l’opportunità di avere esenzioni per patologia può essere discussa (e “discussa” non vuol dire accettata), quella di sottoporre l’esenzione per reddito alla certificazione in ricetta da parte del medico non merita la minima considerazione: con chi sbaglia a calcolare il fuoco di una parabola si può discutere, chi sbaglia a fare due più due va semplicemente spinto da parte e ignorato. Io credo che, qualsiasi possa essere il parere dei nostri sindacati in merito, dovremmo tutti omettere la compilazione delle caselle dedicate all’esenzione per reddito. Siamo medici, non agenti del fisco, né funzionari del catasto, né ragionieri. Se poi accettiamo di “certificare che il paziente autocertifica”, diventiamo addirittura dei personaggi fantozziani disposti a ballare travestiti da orsi per divertire gli invitati alla festa del padrone. L’Ordine dei Medici, così attento alla nostra dignità, dovrebbe espellere tutti coloro che accettano di farlo.

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)