M.D. numero 14, 20 aprile 2005

Filo diretto
Denuncia per certificato di malattia da mobbing
di Mauro Marin, Medico di medicina generale, esperto di problemi normativi

Sono stato querelato per diffamazione e abuso di ufficio dal datore di lavoro di una mia assistita, a cui ho rilasciato una serie di certificati di malattia professionale su modulo dell’infortunio Inail con diagnosi di stress lavorativo riferibile a mobbing, in base alla raccolta diretta dell’anamnesi indicativa per la diagnosi riportata e al parere dello psichiatra.
Il pubblico ministero del Tribunale di Udine ha archiviato il procedimento a mio carico, ma il datore di lavoro si è opposto chiedendo il rinvio a giudizio, ritenendosi diffamato e sostenendo che non avrei dovuto specificare il mobbing nella certificazione, non avendo avuto modo di constatarlo direttamente, anche in considerazione che la lavoratrice era titolare contemporaneamente di più di un rapporto di lavoro. Come difendermi?

Lettera firmata

Il rilievo diretto all’anamnesi riferita dal paziente di atti configurabili il mobbing va segnalato da parte del medico come elemento necessario per differenziare le cause dei sintomi, al fine di distinguere tra malattia da causa professionale di competenza dell’Inail e non professionale di competenza dell’Inps e per indirizzare i controlli ispettivi previsti dalla legge.
Nella diagnosi differenziale vanno escluse patologie psichiatriche pre-esistenti e la sindrome del burn out, nelle quali non si rilevano all’anamnesi azioni persecutorie ripetute di “costrittività organizzativa” (svuotamento di mansioni, mancata assegnazione degli strumenti di lavoro necessari, prolungato diniego all’accesso di informazioni inerenti il lavoro ordinario, sabotaggio dell’attività lavorativa, emarginazione, delegittimazione) configuranti il mobbing da parte di colleghi e superiori nel contesto dell’attività lavorativa del denunciante.
Poiché, secondo la sentenza n. 10090/2001 della Cassazione Penale, il mobbing può configurare il reato di maltrattamenti previsto dall’art. 572 del CP che prevede la procedibilità d’ufficio (art. 50 CPP), il medico pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio è obbligato anche dall’art. 331 CPP a specificare le riferite cause dei sintomi rilevati, anche se solo presunte, per consentire le indagini ispettive previste dalla legge penale e dalla circolare dell’Inail n. 71 del 17.12.2003, secondo cui il danno da mobbing è ora considerato una patologia specifica.
Quindi il medico ha agito nell’adempimento di un suo preciso dovere d’ufficio e non è punibile ai sensi dell’art. 51 CP. Va rilevato che, ai sensi dell’art. 48 CP, il medico che certifica in buona fede quanto rilevato direttamente all’anamnesi riferita dal paziente non è punibile nemmeno se il paziente risulta poi aver riferito all’anamnesi fatti e condotte travisando la realtà in buona fede o anche riferendo il falso.
L’art. 42 CP afferma infatti che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se non l’ha commesso con dolo (intenzionalità, coscienza e volontà provata in modo certo).
Va rilevato che il medico compila solo una parte del certificato di infortunio dell’Inail, nel cui modulo gli si chiede di fare menzione delle generalità del paziente, della diagnosi ma anche di “osservazioni del medico” che ritiene rilevanti per le indagini ispettive dell’Inail: tra queste rientra senz’altro anche la menzione del mobbing.
La parte di certificato in cui sono riportate le generalità del datore di lavoro o della ditta datrice di lavoro viene compilata solo successivamente, in sede diversa dallo studio medico e a carico del lavoratore e del datore di lavoro, con la conseguenza che questi dati non sono conosciuti dal medico, che non può avere nella redazione del certificato di malattia intenti diffamatori lesivi di un determinato datore di lavoro a lui rimasto ignoto e da lui mai specificato. Ciò è ancora più evidente se il paziente risulta intrattenere contemporaneamente più rapporti di lavoro.
Inoltre va rilevato che autori delle azioni di mobbing possono essere anche colleghi e non solo il datore di lavoro, che può anche non essere a conoscenza di comportamenti illeciti dei suoi collaboratori o dipendenti, con la conseguenza che il datore di lavoro non chiamato direttamente in causa dal medico non ha titolo a presentare querela contro il medico.
In assenza di una persona offesa specificata direttamente dal medico nel certificato di malattia, manca una condizione essenziale di procedibilità della querela. In tali circostanze la querela può apparire come un illecito atto intimidatorio, motivato dal tentativo di indebolire indirettamente la controparte nel contenzioso di lavoro, attuato verso un pubblico ufficiale nell’adempimento di un suo dovere d’ufficio.
Il fatto certo che il querelante insista nell’accusare il medico di reati insussistenti, attribuendogli un dolo non provato, anche dopo aver preso atto delle motivazioni con cui il Pubblico Ministero ha disposto l’archiviazione del procedimento contro il medico, va denunciato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale locale per l’ipotesi di calunnia a pubblico ufficiale e per il conseguente danno morale, risarcibile ai sensi della sentenza n. 10033/2004 della Cassazione Civile.