M.D.
numero 14, 20 aprile 2005
Contrappunto
Cosa c'è che non va nel sistema ECM?
di Rebecca Lamini
Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Friuli
Venezia Giulia, le provincia autonome di Trento e di Bolzano
e la Regione autonoma della Valle d'Aosta: sono le Regioni
che più hanno scommesso sull'ECM. Si sono mosse,
hanno messo a regime la formazione residenziale, riconoscendo
i crediti per tutte le attività svolte e per tutti i
professionisti coinvolti. Nella provincia autonoma di Trento
e in Toscana, è accreditata anche la formazione a distanza.
Ma se l'ECM vorrà avere uno sviluppo, dovrà
essere omogenea a livello nazionale. E per diventarlo dovrà
essere accompagnata da un arbitro terzo' e indipendente.
Lo sostiene Lamberto Pressato, presidente provinciale dell'Ordine
dei Medici di Venezia, tra i primi esperti a sostenere la necessità
dell'aggiornamento delle professioni mediche e rappresentante
della FNOMCeO nella Commissione nazionale ECM.
Dott. Pressato, a che cosa dobbiamo i ritardi nell'entrata
a regime del sistema ECM?
I ritardi sono stati legati alle diverse velocità di
comprensione di questa rivoluzione, che ha coinvolto da subito
tutte le professioni del mondo della salute. Per la lunga tradizione
di riflessione sulla formazione che avevano alle spalle, i medici
erano sicuramente i professionisti più preparati, ma
la scelta di coinvolgere in questo ambito, con nuove regole,
tutti i professionisti della salute è stata sicuramente
una decisione che oggi consente all'ECM di essere considerato
un progetto strategico per il Paese, ma sicuramente di più
complessa attuazione.
Qual è stato l'imprevisto più difficile da
gestire di questo cambiamento?
Una delle criticità assolute per l'impianto nazionale,
che come addetti ai lavori non ci aspettavamo, è stato
il sistema dei referee. Per la formazione residenziale, secondo
me, non è necessario mettere in campo la rete dei referee
perché ciò si è rivelato comunque soggetto
a troppe valutazioni individuali. Per reggere, almeno per la
formazione residenziale, potendo contare sulle Commissioni regionali
dei supervisori, al sistema basta un meccanismo informatizzato
che consenta all'organizzatore di formazione di presentare
la sua attività.
Cosa succederà per la FAD?
È un punto interrogativo, anch'io vorrei avere delle
risposte, sono in una pausa di riflessione. È successo
ciò che temevamo e cioè che fossero confusi i
mezzi con i contenuti e le metodologie. La grande corsa verso
la FAD, enfatizzata per vendere prodotti informatici sofisticati,
che poco ha a che fare con le finalità della formazione
a distanza, sta mettendola in ginocchio.
Il pericolo primo è che i fornitori di contenuti e di
metodologie serie e applicate possano, alla lunga, stancarsi
e che quelli che hanno da sempre sulle spalle questa missione,
editori, società scientifiche, non siano così
più appetibili rispetto ai provider tecnologici che procederanno
da soli in attesa che il cosiddetto mercato si riapra'.
Per questo è necessario mettere tutti gli attori intorno
a un tavolo, senza nessun presunto primo della classe, e vedere
quali sono le cause che non hanno consentito una sperimentazione
ottimale. Sono convinto che chi possiede i contenuti e le metodologie
debba essere molto più valorizzato di chi ha solo le
tecnologie per comunicarli.
Pensa a un sistema di punteggio differenziato?
Sicuramente. Ma credo anche che ci sia bisogno di maggiore prudenza
e umiltà da parte dei decisori per capire la reale domanda
di formazione.
Bisognerà ripartire da un metodo più corretto
di individuazione dei bisogni. La FAD potrebbe essere preziosa
per l'analisi, a partire dalle richieste di iscrizione,
dei reali fabbisogni formativi dei professionisti, e già
alcune cose cominciamo a capirle.
Che cosa per esempio?
La FAD così com'è oggi è poco appetibile
per i professionisti della salute. E continuare ad andare avanti
su questa strada vuol dire anche gettare al vento cospicue risorse.
Le richieste che trasversalmente sono fatte da tutti i professionisti
riguardano in primis una comunicazione adeguata ed efficace
tra professionista e cittadino, e poi l'alfabetizzazione
informatica, anche nell'uso sistematico di tutti gli strumenti
d'utilizzo quotidiano come la posta elettronica, le utilità
di calcolo e più competenza tecnica del linguaggio di
altri Paesi. Se poi operiamo una segmentazione, vediamo che
nell'area medica c'è una forte richiesta di
formazione orientata alla ricerca, soprattutto tra i Mmg. Questo
momento di re-impostazione è importantissimo per non
far fuggire i grandi investitori tecnologici.
Oggi dobbiamo confrontarci con un nuovo
Piano nazionale che mette in campo strumenti diversi
per rilanciare l'ECM. Stretto tra Governo e Regioni, qual
è il compito affidato all'Ordine?
Gli Ordini hanno una grande battaglia da rafforzare: quella
della tenuta degli Albi, da ripensare come nuovi appuntamenti
per la verifica di tutti gli elementi curriculari di ogni iscritto.
Parlo del curriculum vitae, del curriculum formativo e di quello
professionale. Che questi curricula siano utilizzati anche da
società scientifiche e dai sindacati per i loro obiettivi
non è un problema, ma si tratta di utilizzi settoriali.
È l'Ordine che ne deve essere il custode perché
come Ente terzo, garante di un diritto costituzionale, è
il solo organo cui è possibile essere espressione prima
di garanzia per i cittadini e di tutela per i professionisti
iscritti. Deve farsi garante dell'adeguamento costante
e periodico, di tutta la crescita professionale del singolo
professionista, per fargli superare l'autoreferenzialità
ponendogli davanti un punto di riferimento certo per i suoi
diritti e doveri, anche sotto l'aspetto disciplinare. Se
così non fosse, l'istituto ordinistico rischierebbe
di trasformarsi in una trappola e si darebbe ragione a chi non
ne vede più l'utilità d'essere.
Questo ruolo forte degli Ordini, però, come si concilia
con l'esigenza di centralità espressa dal Governo
nel nuovo Piano strategico?
Il Governo ha il dovere costituzionale di garantire l'esecuzione
dei programmi e di dare attuazione alle legge, sia in termini
programmatori sia in termini amministrativi. Io non ho alcuna
preoccupazione se il Governo mi dà degli indirizzi e
poi li fa eseguire ai diversi organismi. Uno Stato seriamente
federalista, però, dovrebbe individuare con esattezza
chi fa cosa. A volte, invece, si confonde un ruolo politico
e di indirizzo con il ruolo di controllo imparziale che invece
dovrebbe essere affidato a un organismo terzo.
Dunque il Governo sta avocando a sé
il ruolo dell'arbitro e del controllo?
Non vorrei si confondesse un coordinamento, che ci deve essere
e ci sarà comunque, con un vero e proprio accentramento.
Il Governo è una cosa, l'azione accentratrice, quando
è sostitutiva di altre azioni, crea conflittualità.
Se gli Ordini sono i garanti degli Albi, saranno chiamati in
causa quando non li gestiranno bene o non avranno dati certi,
ma a me risulta che oggi siano gli unici a poterli garantire
e soprattutto senza costare nulla al sistema. I nostri Ordini
sono infatti completamente autofinanziati dalle quote degli
iscritti. Infine, nessun altro ente di nessun'altra istituzione,
stante l'attuale quadro legislativo, può sostituire
gli Ordini nella tenuta degli Albi. Anche se il Governo obbligasse
Regioni e aziende a fornire gli elenchi di dipendenti e convenzionati,
non riuscirebbe a raggiungere un altro buon terzo degli iscritti
che sono liberi professionisti e per la legge sulla Privacy
non sono tenuti a fornire elemento alcuno ad altri che non all'Ordine.
Allora di che cosa stiamo parlando?
Tutte queste questioni di ruolo avrebbe
dovuto gestirle e monitorarle la Commissione nazionale per l'ECM.
Dopo l'accordo del 23 marzo alla Commissione verrà
affiancato un nuovo organo nazionale, fortemente integrato dalle
Regioni. Come giudica questa scelta?
La Commissione, della quale ho fatto parte per l'Ordine
e a volte in posizione molto critica, non si è più
riunita e oggi sappiamo che diventerà uno degli organismi
consultivi del sistema. In un primo momento si pensava che in
essa dovessero essere ricapitolate anche le funzioni di monitoraggio,
ma spesso si è impantanata in compiti che non era in
grado di sostenere, in altre occasioni gli indirizzi che doveva
esprimere non erano coerenti nelle varie applicazioni regionali.
Delle due l'una: o ci si scontra con queste contraddizioni
irresolubili oppure, in un sistema fortemente decentrato come
quello dell'ECM, il referente primo diventa la Conferenza
Stato-Regioni, scelta che preferisco, e le Regioni in quell'ambito
si impegnano in un progetto unitario e condiviso in cui le differenze
siano evidentemente concentrate sui contenuti, sugli obiettivi
di formazione regionali, perché diverse sono le realtà
del nostro Paese, ma la moneta di scambio e le regole non potranno
che essere uniche, reciprocamente riconosciute.